Il pubblico della poesia #2: Gilda Policastro

Una riflessione collettiva. Seconda puntata

(foto di Dino Ignani)

di Adriano Cataldo

 

La poesia fa male

Nanni Balestrini

 

 

Per costruire questa piccola rubrica ci siamo posti una domanda: quali sono i confini della poesia?

In un mondo in cui il richiamo ai confini è spesso connotato all’esclusione, proponiamo all’opposto un ragionamento volto a ciò che accomuna le diverse realtà che operano nell’universo poetico.

Non è nostro obiettivo stabilire una definizione di poesia, vogliamo invece parlare del suo pubblico. Il punto di partenza è un testo molto famoso del poeta Nanni Balestrini. In questo testo viene evidenziata l’esistenza di un “patto” tra chi fa poesia e chi ne fruisce. In questa prospettiva, risulta di fondamentale importanza capire i meccanismi di questa relazione pubblico-poeta, perché può dire molto sul fare poesia.

Come altre forme d’arte, l’universo poetico vive a nostro avviso una forte lacerazione.

Da un lato, si vede un’apertura molto forte al fare poesia, veicolata parzialmente dai nuovi media. Un’apertura orizzontale, che risponde alle necessità che hanno gli individui di esprimersi e di trovare parole per comprendere il proprio tempo. Un’urgenza che spesso non tiene conto della qualità del testo poetico.

Dall’altro lato, esiste un forte richiamo alla qualità del testo poetico, un’apertura verticale, che secondo alcuni dovrebbe rappresentare il confine per stabilire cosa sia davvero la poesia, per distinguerla dalla scrittura non-poetica, oppure da quella di poco pregio.

In base ai due diversi gradi di apertura, si possono identificare dal nostro punto di vista due tipi di poesia: una popolare e una laureata. Si tratta di due categorie analitiche, esemplificative, che servono per orientarsi, ma che nella realtà sono più sfumate.

Partendo da questo scenario, intervisteremo diversi esponenti del mondo poetico (poeti e poetesse, organizzatori e organizzatrici di eventi, analisti e analiste) e ragioneremo sulle possibili differenze tra poesia popolare e laureata.

Dopo Paolo Agrati, la nostra seconda ospite è Gilda Policastro, che insegna Letteratura italiana, scrive e recensisce. Cura la “Bottega della poesia”, rubrica settimanale del quotidiano «La Repubblica» ed è redattrice del sito «Le parole e le cose». Dal 2016 organizza e tiene corsi di Poesia presso la Scuola di scrittura “Molly Bloom” (con sedi a Roma e Milano). Ha pubblicato i romanzi Il farmaco (Fandango 2010), Sotto (Fandango, 2013), Cella (Marsilio 2015); i libri di poesia Non come vita (Aragno 2013), Inattuali (Transeuropa 2016), Esercizi di vita pratica (Prufrock spa) e saggi tra cui la monografia su Sanguineti (Palumbo 2009) e Polemiche letterarie dai Novissimi ai lit-blog (Carocci, 2012). Di prossima pubblicazione un libro sulla poesia contemporanea e il nuovo romanzo.

(foto di Dino Ignani)

L’abbiamo scelta perché grazie al suo lavoro, si situa nel punto di incontro tra poesia popolare e poesia laureata.

 

Cosa spiega il successo della poesia popolare, in termini di vendite e copertura mediatica, nonostante la scarsa qualità dei testi?

Partirei dal “nonostante”: tutto ciò che riguarda le masse, cioè i grandi numeri, non si sposa quasi mai con la qualità. È stato un errore di prospettiva dell’editoria per decenni, quello di voler coniugare ambiti incompossibili: non che la qualità sia destinata per partito preso a pochi, ma la letteratura, in generale, e la poesia, in particolare, presuppongono delle competenze che non sono date in partenza e che si acquistano con il lungo studio (ricordiamoci di Dante che incontra Virgilio nel primo canto dell’Inferno: “vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore/ che m'ha fatto cercar lo tuo volume”, etc.). Ciò che appartiene a tutti è l’emotività: ma per quella non serve la letteratura, ci sono mille altre esperienze (anche validissime) a solleticarla. La letteratura è un’esperienza conoscitiva, non emotiva, o non di quel tipo di emotività televisiva o social.

Esiste qualche esempio di buona poesia capace di raggiungere un pubblico più ampio?

La poesia non può essere compresa da tutti: come qualsiasi cosa che presupponga una ricerca, un lavoro, un’applicazione frutto di conoscenze e competenze particolari. Uno studioso che si è molto adoperato per la diffusione delle competenze linguistiche, Tullio De Mauro, scomparso in anni recenti, sottolineava la drammatica difficoltà di comprendere un testo elementare da parte di una percentuale sorprendentemente larga di italiani. Ora: se un testo elementare non si capisce, si capirà Forse un mattino andando…di Montale o Le petit bidon di Tarkos? Non credo. Allora, lo sforzo di democrazia non deve essere quello di portare la poesia al livello delle masse, me le masse (o almeno un’ampia fascia di parlanti e leggenti) al livello della poesia. Presumere che si debba abbassare il livello per raggiungere tutti è per me un assunto di un elitismo insostenibile e davvero antidemocratico.

La "poesia laureata" può avere un impatto sociale?

Per me esiste solo una poesia: quella scritta bene e quella che è all’altezza di chi la scrive. Qualche tempo fa Guido Mazzoni ha detto in un’intervista che la poesia (soprattutto quella amatoriale, aggiungo io) sembra porsi un passo indietro rispetto alle competenze e alle conoscenze di chi la scrive. Ed è spesso ciò che verifico nel mio lavoro: ci sono persone mediamente acculturate, con ottime competenze anche specialistiche, nei settori più disparati, che di fronte all’idea di scrivere una poesia regrediscono immediatamente a fanciullini. Quel tempo è passato da un secolo abbondante, e nemmeno Pascoli era così inebetito di fronte ai sentimenti e alla natura come ce lo vogliamo per forza rappresentare. Ci sono sue poesie terribili, angosciose, che nessun poeta amatoriale sarebbe in grado di rifare, per perizia tecnica e “ispirazione” (ammesso che abbia ancora senso convocare questa categoria, e annetterle un valore spirituale o romantico, dopo che si sono scritti libri di poesia ricombinando sequenze informatiche dagli anni Sessanta, e poi con Google e gli algoritmi).

*** 

Per Policastro, non esiste la lacerazione di cui abbiamo scritto nell’introduzione. La poesia è una, con le sue regole e i suoi codici. In virtù di queste caratteristiche, la poesia non può essere popolare.

Il presupposto per un allargamento orizzontale è pertanto un innalzamento verticale del pubblico.

Un punto di vista che in parte è stato adottato da Paolo Agrati nella precedente puntata della nostra rubrica: il pubblico ha gusti semplici e cerca parole semplici (non poesia, nella prospettiva di Policastro). 

Alla luce della prime due interviste abbiamo davanti due scenari, uno di medio-lungo periodo e uno di breve periodo.

Quello di medio-lungo periodo: bisogna educare il pubblico dei lettori al fine di avere più lettori che cerchino poesia di qualità.

Quello di breve periodo: mostrare ai tanti che propongono testi semplici e immediati che non stanno facendo poesia, ma intrattenimento oppure qualcos’altro.

Chi pensa di fare e ascoltare poesia sta colonizzando una terra di mezzo, parzialmente inesplorata e sterminata, a cui bisognerà dare un nome. In questa terra di mezzo si stabilirà forse un nuovo patto tra autori e pubblico.

Per finire, anche questa volta useremo le parole di Nanni Balestrini:

 

il pubblico della poesia è infinito vario inafferrabile

come le onde dell'oceano profondo

il pubblico della poesia è bello aitante avido temerario

guarda davanti a se impavido e intransigente

mi vede qui che gli leggo questa roba

e la prende per poesia

perché questo è il nostro patto segreto

e la cosa ci sta bene a tutti e due.