Virus con la corona e stati sovrani: l’ombra del “vaccine nationalism”

Gli esperti evidenziano i pericoli generati dall’egoismo fra stati nella lotta alla pandemia da Covid-19

di Giulia Isabella Guerra

In dicembre il vaccino è finalmente arrivato, e nella terza settimana di gennaio la piattaforma Our World in Data conta più di 58 milioni e mezzo di dosi di vaccino somministrate nel mondo. Il dato è grandioso? In realtà, il numero copre soltanto l’1,07% della popolazione mondiale.

La strada per l’immunità di gregge globale è dunque ancora lunga, ma un elemento estremamente interessante ci colpisce: un’evidente diseguaglianza mondiale nella somministrazione del vaccino.

Di fatto, elaborando i dati forniti da Our World in Data, emerge come ben il 29% della popolazione vaccinata sul totale sia negli Stati Uniti, il 25,6 % in Cina e il 20% in Europa. Questo significa che più del 75% delle dosi somministrate sono state destinate ai paesi industrializzati, caratterizzati da economie galoppanti ed elevati livelli di reddito pro capita, mentre i Paesi in via di sviluppo sono attualmente penalizzati.

Intere regioni come l’Africa subsahariana non hanno ancora sviluppato piani di vaccinazione su base nazionale o locale, mentre paesi attraversati da profonde crisi sociali ed economiche, come il Venezuela, stanno incontrando ingenti difficoltà nel trovare i fondi per l’acquisto dei vaccini.

La questione si sposta dal piano medico a quello etico e politico

Gli studiosi Thomas J. Bollyky e Chad P. Bown, in un articolo pubblicato in luglio 2020 su Foreign Affairs, hanno acceso i riflettori sulla possibilità che la corsa al vaccino si trasformi in una nuova forma di nazionalismo. Secondo i due politologi, gli stati stanno cercando a qualsiasi costo di assicurarsi una certa quantità di approvvigionamenti di vaccini e, più in generale, materiale medico come i defibrillatori, per soddisfare i propri bisogni interni.

Questa disperata ricerca si sta trasformando in un tutti contro tutti, ma non vi è alcuna autorità sovranazionale – quale dovrebbe essere l’Organizzazione Mondiale della Sanità – a controllare lo stato e la distribuzione degli approvvigionamenti nel mondo, dunque a verificare un equo ripartimento fra paesi. Il risultato è che i più poveri stanno rimanendo indietro, mentre la pandemia avanza e continua a minare l’ordine politico delle società nonché la loro prosperità economica.

Virus con la corona e stati sovrani

La crisi epidemica ha permesso agli stati di mettere le proprie prerogative sovrane davanti agli interessi della comunità internazionale. Ciò significa che la necessità dei singoli stati di perseguire i propri interessi, in primis ridurre la diffusione del Covid-19 entro i confini nazionali e ridare slancio all’economia colpita, ha la precedenza sulla cooperazione internazionale per fermare l’avanzata del virus nel mondo.

Gli sforzi internazionali sono costosi, comportano ingenti investimenti che spesso ricadono sulle tasche dei paesi più industrializzati. Questi ultimi si trovano al momento a mettere in campo cospicue risorse per fronteggiare l’emergenza interna, pertanto risulta difficile pensare che essi siano ben disposti a dimostrarsi solidali verso le aree del globo più povere, specie con recessione economica e disoccupazione galoppanti.

Leader mondiali quali il presidente francese Macron, il presidente cinese Xi Jinping e il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres hanno definito i vaccini come beni pubblici globali, ossia risorse che dovrebbero essere disponibili per chiunque, e il cui uso in un paese non dovrebbe interferire con quello in un altro.

L’immunità di gregge globale sarebbe un beneficio per la comunità internazionale nel suo complesso, ma gli approvvigionamenti di vaccino resteranno limitati almeno per i primi sei mesi del 2021, come già dimostrato dall’impossibilità del colosso farmaceutico Pfizer di soddisfare le richieste dei suoi acquirenti. Per questo motivo, i vaccini non possono essere realmente un bene pubblico globale, ma una risorsa preziosa all’appannaggio di pochi dal portafogli ben nutrito.

Vaccine nationalism e pericolose conseguenze

L’approccio del vaccine nationalism all’allocazione delle cure mediche non è soltanto eticamente riprovevole, bensì contrario ad ogni interesse economico.

Infatti, se i paesi a basso e medio reddito non riceveranno accurata copertura vaccinale, la produzione economica mondiale risentirà dell’assenza di manodopera in questi paesi, nei quali si produce la maggior parte dei beni manifatturieri o prodotti tecnologici che si riversano nel commercio globale, ma anche dei tagli all’importazione di materie prime provenienti da queste aree, indispensabili nei processi produttivi delle economie più avanzate.

Siamo in pericolo? Evidentemente sì. Le stime sostengono che la pandemia da Covid-19 potrebbe causare la perdita di oltre 12 trilioni di dollari verso la fine del 2021, con devastanti effetti sull’occupazione e i consumi delle famiglie.

Nessuno sarà escluso dalle conseguenze della crisi.

Inoltre, il vaccine nationalism potrebbe generare risentimento da parte dei paesi lasciati indietro, per cui futuri negoziati su questioni di interesse globale, come i cambiamenti climatici o il controllo del nucleare, potrebbero essere macchiati dal sentimento di rivalsa dei paesi più colpiti durante la pandemia, e diventerebbe più difficile trovare condizioni di accordo fra gli stati.

Egoismo o solidarietà? La sfida è aperta

ll Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres in dicembre ha esortato le nazioni più ricche a dare un contributo maggiore per rendere il vaccino contro il coronavirus disponibile a tutti sul pianeta.

"Non è con il nazionalismo dei vaccini che sconfiggeremo il COVID, è con la cooperazione internazionale", ha detto in una conferenza stampa a Berlino, sostenendo inoltre che alcuni paesi ricchi stessero acquistando vaccini in quantità sproporzionate a quelle della loro popolazione, mentre i programmi guidati dalle Nazioni Unite, come COVAX, non hanno ancora risorse sufficienti per sostenere i paesi poveri. "Abbiamo un divario di 5 miliardi di dollari fino alla fine di gennaio e un divario globale di oltre 20 miliardi che deve essere affrontato nel contesto del programma", ha detto Guterres.

Secondo le stime di alcune ONG, 9 persone su 10 nei paesi in via di sviluppo non riceveranno il vaccino nel corso del 2021, e i costi in termini di vite umane potrebbero essere devastanti. 

Concludiamo la riflessione sui pericoli del vaccine nationalism con le parole dello stesso Segretatio Generale delle Nazioni Unite: 

"Governments cannot protect their peoples if other peoples are not protected”.

 

Per approfondire: Thomas J. Bollyky and Chad P. Bown. The Tragedy of Vaccine Nationalism: Only Cooperation Can End the Pandemic, Foreign Affairs, July 2020.