Vasco Brondi: musica & resistenza

di Lorenza Giordani

Cosa significa resistere al giorno d’oggi? Questa e tante altre sono state le domande che ci si è posti al festival delle resistenze contemporanee, tenutosi a Trento dal 23 al 25 settembre scorso.

L’edizione 2016 aveva l’obiettivo di sensibilizzare i giovani alla condivisione, intesa non in termini economici, bensì come stile di vita: si è riflettuto sulla costruzione di reti, sulla compartecipazione al tessuto sociale, sulla cooperazione e sulla memoria comune. In particolare, durante la seconda giornata del festival si è discusso sul tema dell’identità.

Tra gli ospiti più attesi c’è stato sicuramente il ferrarese Vasco Brondi, in arte “Le luci della centrale elettrica”, con cui si è parlato della musica, un linguaggio universale che racconta e mette in condivisione le persone.

Strumento capace di superare le barriere culturali, la musica permette ad ogni artista di mostrarci il mondo attraverso i suoi stimoli e le sue percezioni. Ognuno di noi ha sicuramente provato molte emozioni attraverso la musica, e molte volte si sarà addirittura identificato nei musicisti che più ascolta. Ma per chi di musica scrive e ci vive, come funziona? Quali sono le responsabilità e gli stimoli che portano un artista raccontare il mondo attraverso la musica?

La passione di Vasco Brondi per la musica risale alla sua adolescenza, quando ancora molti tra i suoi amici sognavano di calcare i palcoscenici con una chitarra in mano: un po’ ingenuo e ignaro di quali fossero le regole e la burocrazia del mondo della musica riesce a diffondere un suo demo autoprodotto nel circuito indie-rock di Bologna.

Al contrario, per chi vuole farsi conoscere oggi “le cose stanno diversamente: registrare è molto troppo facile, ma in rete c’è fin troppa roba per riuscire a farsi conoscere”. C’è fin troppa offerta sul mercato, insomma, e distinguersi diviene quasi impossibile.

A chi gli chiede il perché, raggiunto il successo, non cerchi di espandersi con tour sempre più grandi e voluminosi, Vasco risponde che “un percorso non deve essere sempre in espansione. Evolversi non vuol dire espandersi, ma arrivare a togliersi degli strati per arrivare a sentire in profondità.”

Sentire in profondità è un qualcosa di sempre più difficile al giorno d’oggi, in un mondo in cui siamo sempre iper-connessi e l’utilizzo dei social è diventato quasi compulsivo. “Pare quasi che se qualcosa non diviene ‘rumoroso’ sui social, non sia accaduto. Siamo in quella che gli studiosi chiamano ‘economia dell’attenzione’: la visibilità di qualcosa esprime il suo valore.” Analogamente, il mondo social di oggi sembra dirci che chi non vive in contesti caotici e all’ultima moda si stia perdendo chissà quale sapore della vita. “Nella vita però non dobbiamo sempre resistere: per esistere dobbiamo vivere. Quelli alcuni considerano vivere ai margini – pensiamo a chi cresce in provincia, o in piccole città – non sono in realtà margini, bensì la vera realtà”, dove si assapora lo scorrere del tempo e la vita che passa.

A chi ha chiesto ‘come attualizzare la resistenza senza banalizzarla?’ Vasco risponde: leggere. Leggere tanto e leggere bene. La chiacchierata si conclude, appunto, con un consiglio di lettura: “Una questione privata” di Beppe Fenoglio.

Fotografia: Piattaforma delle resistenze – Marco Vitale, Stefano Lisci