di Lorenza Giordani
Magia, diavoleria o fattura? È difficile scegliere il termine più appropriato per la serata del 2 giugno all’Oltreconomia: a suonare erano gli Stregoni, al secolo Gianluca Taraborelli e Marco Bernacchia, con i ragazzi richiedenti asilo ospiti delle strutture della provincia di Trento.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Gianluca, in arte Johnnymox.
Come nasce il vostro progetto?
Io e Marco (in arte Above the Tree, ndr) avevamo deciso di collaborare la scorsa estate, proprio mentre l’Ungheria ha chiuso le frontiere e i migranti hanno cominciato a calcare la rotta dei Balcani.
Abbiamo scelto di partire da ciò che stava accadendo nelle nostre città. Chi vive nei centri migranti, in attesa dell’esito della richiesta di asilo, può passare in quella bolla spazio-temporale fino a 24 mesi. Spesso l’unica attività di scambio che viene proposta loro è rappresentata da serate a tema in cui, come animali in gabbia, vengono invitati a ripercorrere la loro storia.
Noi volevamo creare un progetto di scambio effettivo con questa gente.
Chi sono gli Stregoni?
Coinvolgiamo ogni volta persone diverse (da dicembre almeno 150). Non vogliamo una band in pianta stabile; suoniamo con i migranti che hanno attitudine alla musica e voglia di partecipare. C’è chi fa rap, chi canta, chi suona le percussioni, la chitarra, il sax… Noi facilitiamo la cosa e la musica fa tutto il resto.
Come funziona la performance?
Partiamo da un semplice oggetto – il telefono cellulare – e dalla musica che i ragazzi conservano lì dentro. Facciamo dei loop, poi interveniamo su quello che abbiamo isolato, di cui tutti coloro che sono sul palco danno una propria interpretazione. Si crea una specie di incontro/scontro tra le musiche che ascoltano queste persone, provenienti da Nigeria, Mali, Ghana, Gambia, Costa d’avorio, ma anche Afghanistan e Pakistan. Spesso si uniscono anche gli italiani. L’inizio è volutamente traumatico, ma poi si raggiunge sempre una sintonia. Ognuno di noi ci mette del suo ed ecco che esce il suono vero dell’Europa di oggi.
Che cosa rappresenta, in realtà, il cellulare?
Chiunque lavori con i richiedenti asilo sa che per un migrante arrivare in Europa senza cellulare è oggi impossibile.
I cellulari sono, però, oggetto di continua propaganda da parte di quelli che noi chiamiamo “ultras dell’ignoranza”, strumentalizzati come un luogo comune di presunta ricchezza. In Africa, invece, le persone sfruttano la loro versatilità nella vita quotidiana, per pagamenti online o trasferimenti di denaro aggirando Western Union.
Rappresentano, inoltre, una scatola di ricordi: ci sono conservate le fotografie e i video del villaggio, del viaggio, dei luoghi che si sono lasciati dietro di sé, ma soprattutto tanta, tantissima musica.
Avete pensato all’evoluzione del vostro progetto?
Abbiamo pensato ad un viaggio attraverso i centri migranti d’Europa: una sorta di tour, affiancati da un videomaker, da Lampedusa a Stoccolma, perché il tutto non poteva non chiudersi con un riverbero europeo. Ovviamente abbiamo accarezzato anche l’idea di fare un cd. Il tutto è in evoluzione.
https://soundcloud.com/user-