Referendum Costituzionale in 5 step: pt. 4

di Lorenza Giordani e Marta Pilotto

La costituzione attuale prevede due tipi di referendum: uno abrogativo, per decidere se cancellare una legge approvata dal Parlamento; uno costituzionale, in cui gli elettori approvano o meno una riforma costituzionale (è proprio il tipo di referendum per cui stiamo votando). Nel primo è previsto un quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto: significa che affinché la decisione degli elettori sia valida deve aver votato la metà più uno di tutti coloro che hanno il diritto di voto. Nel secondo invece non è previsto nessun quorum.

Esiste anche un terzo tipo di referendum, quello di indirizzo, applicato fino ad adesso solo due volte: nel 1946 per scegliere tra monarchia e repubblica e nel 1989 sulla trasformazione delle Comunità europee in Unione europea. Quest’ultimo referendum non è previsto dalla Costituzione vigente, e perciò fu possibile indirlo solo grazie all’approvazione di una legge costituzionale ad hoc.

La principale novità della riforma attualmente in discussione è proprio la previsione di rendere normale la possibilità di un referendum d’indirizzo, ossia un referendum attraverso cui l’elettorato chiede al Parlamento di prendere una posizione su un determinato argomento.

C’è anche un’altra importante differenza: cambia anche il quorum per i referendum abrogativi, che, nel caso siano più di 800mila elettori a richiederlo, si abbassa (sarà necessario che vadano a votare il 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei deputati).

La riforma Renzi-Boschi rafforza, sotto alcuni punti di vista, la possibilità per i cittadini di proporre direttamente una legge in Parlamento. In base all’attuale costituzione le proposte di legge di iniziativa popolare (che devono già essere redatte in articoli) possono essere presentate al Parlamento se a richiederla sono almeno 50.000 cittadini aventi diritto al voto. Tuttavia, al momento, il Parlamento può decidere di non discuterle. Attualmente solo l’1% delle leggi di iniziativa popolare sono approvate in via definitiva, e solo il 43% arriva ad essere discusso in commissione parlamentare. Con la riforma, si alza a 150.000 la soglia del numero di firme per proporre leggi di iniziativa popolare, ma il Parlamento sarà obbligato a discutere tutte le leggi di iniziativa popolare.

Per quanto riguarda le leggi elettorali la riforma prevede che queste potranno essere sottoposte al controllo preventivo della Corte Costituzionale prima della loro entrata in vigore.

In particolare, 1/3 dei senatori o 1/4 dei deputati potranno richiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi (entro 30 giorni) sulla legittimità costituzionale della legge elettorale prima che venga promulgata.

Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è un ente previsto dall’articolo 99 della Costituzione. Dovrebbe avere funzioni consultive e di proposta di leggi, ma da anni è considerato un “ente inutile“, privo di funzioni reali. Al pari, con le ultime riforme amministrative, le province sono state quasi del tutto svuotate dei poteri.

Questo pare essere l’unico punto della riforma su cui sussiste un consenso trasversale.

Le ultime elezioni del Presidente della Repubblica sono state caratterizzate da scontri fortissimi, grandi dissensi sui nomi e da tempi lunghi. La Costituzione vigente, prevede un meccanismo che premia il più ampio consenso su un nome, perché il Presidente deve rappresentare l’unità nazionale. Attualmente, infatti, il Presidente viene eletto da un’Assemblea composta dai componenti della Camera, del Senato e dai delegati regionali: per essere eletto un candidato deve avere la maggioranza dei due terzi dei voti dell’Assemblea nelle prime tre votazioni, dalla quarta votazione è sufficiente la maggioranza semplice dei voti.

La nuova riforma prevede che a votare il presidente siano solo i deputati e i senatori (scompaiono i delegati regionali, poiché il nuovo Senato sarebbe proprio espressione delle Regioni). Cambia anche il numero di voti necessari dalla quarta votazione in poi. Dalla quarta alle sesta sarà necessario avere a favore 3/5 degli aventi diritto al voto, dalla settima in poi i 3/5 dei votanti.