Referendum Costituzionale in 5 step: pt. 3

di Marta Pilotto e Lorenza Giordani

 

Il rapporto tra Stato e Regioni

Abbiamo iniziato a vedere i primi aspetti del referendum costituzionale nelle scorse puntate, ed ora è giunto il momento di parlare di che cosa ne sarà dei rapporti tra Stato e Regioni.

Come in tutte le storie d’amore, anche tra Stato e Regioni ci sono alti e bassi, che di volta in volta vengono affrontati e superati in modi diversi.

Spesso è sufficiente sedersi ad un tavolo e parlare, come accade nella Conferenza Stato-Regioni, altre volte è necessario rivolgersi ad un arbitro esterno, ruolo fino ad adesso ricoperto dalla Corte Costituzionale.

Il più delle volte, come in tutte le coppie, il nocciolo della questione è sempre lo stesso: stabilire chi fa cosa, ossia l’affidamento delle competenze.

L’attuale Titolo V della Costituzione, risultato di una riforma che entrò in vigore nel 2001, ha provocato negli anni numerosi conflitti di competenze tra Stato e Regioni.

Fino ad adesso, infatti, c’erano competenze riservate allo Stato, alcune competenze riservate alle Regioni, e molte competenze in cui entrambi potevano avere parola: le competenze concorrenti.

La riforma Renzi-Boschi vorrebbe quindi superare la tripartizione di competenze, eliminando le competenze concorrenti e affidando molte di esse allo Stato.

Lo spirito è chiaramente uno spirito centralizzatore, come dimostrato anche dalla cosiddetta clausola di supremazia: se lo Stato centrale dovesse ravvisare un interesse pubblico generale su una materia di competenza delle Regioni può richiamare a sé la materia in questione, sottraendola in questo modo alle Regioni.

 

Le ragioni del sì: la distinzione netta tra chi è competente per che cosa potrebbe porre fine agli innumerevoli conflitti di competenze Stato-Regioni che hanno caratterizzato gli ultimi 15 anni. Si crede che, affidando molte competenze allo Stato, si riuscirebbe a sottrarre tante iniziative dal malgoverno, dagli scandali e dagli sprechi di cui spesso hanno dato prova gli enti regionali.

Le ragioni del no: la centralizzazione proposta dal governo sembrerebbe fare numerosi passi indietro rispetto alla necessità di dare più autonomia agli enti locali. Inoltre, autorevoli costituzionalisti hanno previsto che a causa della clausola di supremazia i conflitti di competenze continueranno a presentarsi, analogamente alla situazione precedente. Oltretutto, se lo spirito della riforma è quello di creare un Senato che rispecchi le esigenze delle entità territoriali, mancherebbe in realtà il cosiddetto mandato imperativo, che vincolerebbe i senatori a portare avanti le istanze dei territori (mentre nella riforma continuano a rappresentare l’intera nazione).