Polvere tour 2016: Capossela cantastorie dell’Italia contadina

Prendete un campo di grano, aggiungete qualche vecchia luminaria delle tipiche sagre di paese in una calda sera d’estate e, senza alcuno sforzo di immaginazione, verrete catapultati nel bucolico mondo della civiltà contadina, protagonista da sempre di un Sud Italia quasi immobile nell’inesorabile scorrere del tempo. Tagliata fuori dalla storia e dal progresso, la civiltà dei contadini del Mezzogiorno sembra non conoscere l’evoluzione della società, Cristo, dopo tutti questi anni, è ancora fermo ad Eboli, così come raccontò Carlo Levi nel 1943. Abbandonata la costa, laddove si ferma la ferrovia e si interrompe la strada, si arriva nelle terre aride della Basilicata, desolate e dimenticate da Dio. È una realtà figlia delle profonde incomprensioni tra Nord e Sud Italia, complice di una politica incapace e disinteressata all’unificazione sociale ed economica del Paese.

In questo contesto, si inserisce la rappresentazione musicale di Vinicio Capossela, nel suo tentativo di diffondere la cultura di uno scorcio d’Italia a lui sempre caro e da cui egli stesso proviene, ponendo l’accento sulla miseria di una classe contadina che sopravvive in una realtà rurale sempre uguale nel tempo, senza mai tirarsi indietro dal lavorare nei campi, unica ricchezza in suo possesso. Così, con l’aiuto di una vivacissima equipe di folletti di campo e dèi del grano di tradizione pagana che assomiglia al “Sogno di una notte di mezza estate” Shakespeariana, Capossela, nei suoi consueti panni da brigante, ci invita al Ballo di S.Vito con le Femmine di Calitri, cittadina dell’avellinese dai confini lucani bagnati dall’Ofanto, dove Zompa la rondinella e sgorga L’acqua chiara alla fontana. Lo spettatore diventa Lu furastiero (il forestiero, in dialetto) che partecipa allo Sposalizio di Maloservizio e Al Veglione, dopo aver trascorso La notte di S.Giovanni e compreso, grazie anche ad una buona cantina, Che coss’è l’amor. Durante il viaggio, non incontriamo soltanto i luoghi, ma anche le persone. Sono anche queste figure tipiche di una classe contadina che sa essere allo stesso tempo devota come Maddalena la castellana e disinvolta come Franceschina la calitrana, sdraiatasi col capocantiere, fino all’irraggiungibile oggetto del desiderio, la padrona della masseria (La padrona mia). Insomma, il tour Polvere 2016 è un viaggio intriso di storie che si intrecciano a ballate e sonetti folk, perseguendo tutte il filone del racconto teatro-musicale del latifondo meridionale, in uno smisurato festival paesano.

Vinicio fa ballare e saltellare sulle note di tarante e canzoni popolari tipiche, capaci di coinvolgere anche il più timido spettatore. Allo stesso tempo, non toglie spazio alla commozione, raccontando quanto c’è d’amaro in quello stesso quadro prima dipinto di tanto colore, perché la gioia del canto e del ballo sono spesso l’unico modo che hanno i contadini di dimenticare il dolore della schiena sempre ricurva sul campo e di una fatica troppo spesso ripagata soltanto dalla povertà. La denuncia dell’abbandono delle terre della Cupa, oscure ed ancestrali, dove non batte quasi mai il sole, si evince già all’apertura del concerto, dove La bestia nel grano, già ci ammonisce che il punto di massima luce è in realtà solo uno spiraglio sul mondo dell’ombra. Ad alleggerire lo spirito, Capossela ci inebria di irriverenti ritornelli capaci di conquistare immediatamente spirito e mente di chi ascolta, come in Nachecici.

"Chi muore muore

chi campa campa

e nu piatto di maccaruni cu' la carna"

Non importa chi soccomba e chi invece riesca a vivere a lungo, l’importante è godersi la vita con quello che si ha, dando valore anche ai piaceri più semplici, come un piatto di maccheroni al ragù.