Parliamo di caporalato

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di Gianmarco Pallaoro

A seguito di un’esperienza con il proprio campo scout, ormai quasi due anni fa, Stefania Neglia è venuta a contatto per la prima volta in vita sua con la tremenda realtà del caporalato. Ciò che lei e i suoi compagni videro presso il campo “Io ci sto”, a pochi chilometri da Foggia, Puglia, era destinato a influenzarli fortemente. Ad oggi il gruppo, grazie alla pagina Facebook “SENZA NOME – Tra i Migranti” e alla loro buona volontà, hanno inaugurato un vero e proprio progetto di sensibilizzazione alla questione, attraverso incontri nelle scuole e spettacoli teatrali itineranti, al fine di rendere più evidente una situazione ben lungi dall’essere tollerabile.

L’esempio pugliese, spiega Stefania, non è che uno fra i tanti che macchiano la penisola italiana: esso è volto allo sfruttamento di braccianti durante il periodo della raccolta di pomodoro, principalmente nei mesi estivi. I braccianti sono costretti a risiedere per diversi mesi presso delle vere e proprie baraccopoli, come quella di Lignano Garganico, per le quali devo pagare un affitto salatissimo in cambio di un materasso nella polvere. Il sistema criminale del caporalato è stato in grado, nel corso degli anni, di creare una vera e propria cittadina presso questo ghetto, il quale arriva, nei mesi di raccolto, a raggiungere le 2500 persone residenti. Questo microcosmo malfamato è provvisto di ristoranti, bordelli e mezzi di trasporto, tutti rigorosamente a pagamento e posseduti sempre dal caporale, contribuendo ad aumentare la miseria delle persone che vi lavorano. Le paghe infatti sono scarsissime, circa € 3.50 per 300 kg di pomodoro, e costringo molto spesso il lavoratori a chiedere aiuto a parenti lontani per il loro sostentamento. Un tempo erano gli italiani ad essere maggiormente sfruttati dal caporalato ma, con il passare degli anni, la loro egemonia è stata bene bilanciata dalla presenza di albanesi, africani, orientali e persino bulgari.

Un simile contesto, oltre ad essere disumano, fa capo a meccaniche più ampie e che, in maniera indiretta, riguardano tutti noi e la nostra salute. I pomodori raccolti presso queste terre, nella maggior parte dei casi, sono gli stessi che vanno a costituire alcune salse, passate ecc. che finiscono sui nostri tavoli ogni giorno. Indice di questo collegamento è principalmente il prezzo, stracciato rispetto alla concorrenza ed allettante per la maggior parte dei consumatori. Molto spesso inoltre gli stessi pomodori risentono di pesanti trattazioni chimiche, attraverso concimi non bene identificati, che con grande probabilità sono in grado di nuocere alla nostra salute. Le testimonianze di questo processo ci vengono date dai braccianti che rimangono presso la baraccopoli nei mesi invernali per la semina, i quali hanno il compito di spargere “il veleno” sui campi per rendere la coltivazione più florida.

Tutto questo, ricorda Stefania, può essere facilmente contrastato da ognuno di noi nel proprio piccolo, evitando l’acquisto di prodotti a base di pomodoro (o pomodori stessi), di origine italiana ed a prezzi troppo convenienti rispetto alla concorrenza. Con questo piccolo gesto si potrà muovere i primi passi verso l’estirpazione di questa radice cattiva tutta italiana.