“Il silenzio è mafia!” Intervista a Luigi Lo Cascio

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di Michele Citarda

Giovedì 2 novembre andrà in scena al Teatro sociale di Trento alle ore 20.30 “il silenzio è mafia" (dagli) scritti di Pippo Fava” con Luigi Lo Cascio. Evento organizzato dall’Ordine degli avvocati di Trento che sovente promuove attività culturali di questo genere. Noi di Sanbaradio abbiamo avuto il piacere di potere sentire ed intervistare brevemente il celebre attore siciliano.

Di seguito, vi riportiamo l’intervista integrale.

Abbiamo il privilegio, e ringraziamo l’Ordine degli avvocati di Trento per averci messo in contatto, di poter intervistare uno dei più importanti attori dell’attuale scena teatrale e cinematografica italiana e cioè niente poco di meno che Luigi Lo Cascio che ringrazio per dedicarci un po’ del suo tempo. Buon pomeriggio Luigi.

Buon pomeriggio e grazie a voi. Fa molto piacere essere con voi.

Allora, io partirei dal chiederti cosa porterai in scena giovedì, proprio a Trento, al Teatro Sociale. Non sei chiaramente nuovo a ruoli e storie legate alla mafia, parlerai di Pippo Fava. Ti chiedo, in che modo?

 È un’idea quella di venire a Trento che devo anch’io agli avvocati di Trento. È stato un gentilissimo invito ad esserci in una delle manifestazioni che fanno nella vostra città, Trento. Ho pensato io, invece, a Fava perché mi è capitato recentemente di leggere sia privatamente che pubblicamente i suoi testi che mi sembrano dei testi molto interessanti. Anche se sono appunto scritti perlopiù degli anni ’60 alcuni, o, i più recenti risalgono all’ ’83 prima che Fava venisse assassinato nell’ ’84. Sono dei testi dove a scrivere è un uomo che ha speso la sua vita nella lotta contro la mafia nel risveglio delle coscienze soprattutto dei catanesi, pur essendo lui originario della provincia di Siracusa, ma lui viveva a Catania. Ma soprattutto scritti da un uomo di teatro e spero quindi di non rovinarli, di non far notare che non ci sia uno sfoggio, ma una capacità, un’attenzione, uno stile veramente straordinari per cui, aldilà delle cose di cui si parla,  c’è qualcosa che quasi in alcuni momenti passa dal registro giornalistico a quello della letteratura.

Pippo Fava aveva presente in modo chiaro che la mafia non poteva ricollegarsi esclusivamente alla dimensione locale siciliana ed essere ridotta e ricondotta a episodi di manovalanza. Ecco, vorrei chiederti quanto è importante parlare di mafia in luoghi che, magari erroneamente e secondo il senso comune, non vengono considerati toccati dal fenomeno. Trento può essere uno di questi.

Sì, diciamo che ultimamente è difficile comunque sentirsi esenti da questi temi. Trento sicuramente, e anche altre parti più felici dal punto di vista anche economico, partono favorite per evitare che ci sia un radicarsi di tutto questo. Però la mentalità che poi in Sicilia ha portato ad uno Stato alternativo che continua ad avere un intreccio costante con quello ufficiale non  è solo perché lì c’erano le condizioni economiche per prosperare in altra maniera. Ma la mentalità del favore, del fatto di ricondurre tutto a logiche di clan, c’è anche nelle grandi città del nord e ne soffrono molto gli aspetti negativi: l’essere estromessi dalle lobby, dagli accordi che agiscono sotterraneamente, oppure quegli accordi di cui nessuno ha interesse a parlarne. Quindi, in questo senso, qualcosa che ha a che fare con l’atteggiamento mafioso c’è più o meno dappertutto.   Rischia di esserci dappertutto.

Parlando di Trento, proprio quest’anno Trento e Palermo – la tua città – si sono contese il titolo per città della cultura 2018. Che rapporto hai con il capoluogo siciliano?

Dunque, io sono stato in Sicilia, a Palermo fino a quando ho avuto 22 anni. Da 28 vivo a Roma, quindi è una relazione troppo a distanza con dei bellissimi e felicissimi ritorni che sono poi legati molto alla mia famiglia. A Palermo sta mia madre, due dei miei quattro fratelli. Quindi c’è un aspetto legato alla famiglia e il ritrovare gli aspetti belli di Palermo, anche da un punto di vista architettonico. Una città che ha anche dei lati che non conosco. Quando torno insomma è stupendo. Una bellezza che convive con qualcosa di particolare.

Sanbaradio è una radio universitaria. Tu ti sei avvicinato inizialmente all’università per poi abbandonarla e dedicarti al teatro e alla recitazione. Ci puoi raccontare questa sorta di folgorazione sulla via di Damasco?

Sì. Qualcosa che è quasi apparsa all’improvvisa che è avvenuta un po’ per gradi ma che effettivamente – questa folgorazione – prima dei 20 anni non mi aveva mai sfiorato minimamente. Volevo fare il medico. Soltanto che ho cominciato a fare teatro di strada con un gruppo di cabaret in un gruppo di amici. Una serie di spettacoli prima per le strade, poi le piazzette e i teatri. E facevamo queste cose per poterci spostare per le grandi città. Per poterci guadagnare quel tanto per poter girare l’Europa e seguire le grandi competizioni di atletica leggera. Eravamo tutti ex atleti del CUS Palermo. Poi loro hanno continuato e io sono entrato in accademia e mi sono dovuto fermare perché mi dovetti trasferire a Roma. La prima relazione col pubblico li ebbi in questi spettacoli di piazza. Mi è piaciuto e si creò l’occasione di una piccola parte in uno spettacolo di Federico Tiezzi, era un Aspettando Godot. Durante questa tournee mi sono reso conto che era stupendo e meraviglioso: fare le prove, stare in relazione ai tempi teatrali, un legame anche materiale, stare sul palcoscenico, il legno. Una suggestione che mi ha un po’ destabilizzato rispetto al fatto che volevo essere medico. Ho fatto gli esami in accademia, sono stato preso e quindi ho lasciato medicina.

Vorrei farti un’ultima domanda citando un altro intellettuale siciliano, la cui figura è comparsa anche in un film cui hai partecipato. Sto parlando di Baaria di Giuseppe Tornatore e l’intellettuale, o meglio il poeta, è Ignazio Buttitta. La citazione parafrasata è “chi cammina calato si torce la schiena, se è un popolo si torce la storia”. Chiaramente Buttitta ha vissuto il ventennio fascista, in un contesto decisamente diverso dal nostro. Ma una citazione del genere, oggi come oggi, da un punto di vista politico, ti suscita una particolare opinione?

È difficile fare l’esegesi quando il poeta ha trovato l’immagine che riassume tutto. Mi sembra interessante il fatto che quello di cui non ci si rende conto è il grado di servitù a cui spesso un popolo di sottopone e sottometto e quanto viene spacciato per libertà. A quel tempo almeno era chiaro da che parte stava la dittatura. Ora, la cosa triste è che adesso pensiamo di essere in posizione retta e siamo ancora più calati rispetto al tempo del grande poeta.