Il nuovo “gioco dell’oca” parla una lingua attuale

Intervista a Chiara e Lara che hanno ridato vita a questo gioco lo scorso mercoledì all'Unibz

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di Martina Ghedin

Ve lo ricordate il gioco dell’oca? Quello che facevate da bambini, con le pedine, le varie caselle e i dadi? Adesso provate ad immaginare lo stesso gioco solo in versione più grande, dove noi siamo le pedine e saltiamo di casella in casella.  L’evento “New L(oca)l”, che si è tenuto presso l’Università di Bolzano mercoledì scorso, era una rivisitazione del famoso gioco da tavola. Ogni casella era caratterizzata da una tematica particolare, che poteva variare dall’immigrazione all’integrazione, e l’obiettivo finale era quello di raccontare la storia di Bolzano a tutti coloro che non ci sono nati. Ma adesso facciamo un viaggio nel dietro le quinte di questo evento con un’intervista alle due ideatrici e studentesse di Design, Chiara e Lara.

Com’è nata l’idea di questo gioco?

Lara: Inizialmente avevamo in mente un altro progetto, che comunque riguardava il fatto di giocare e di mettere in mostra le possibilità che si possono avere in una nuova città, ma non solo come immigrato o rifugiato, ma anche come insegnante o studente. Durante una revisione con un nostro professore abbiamo deciso di sviare dall’idea inziale di creare un libro, per addentarci in qualcosa di più concreto per raggiungere anche un maggior numero persone. E pian piano il progetto si è sviluppato da solo…

Chiara: Lavorandoci è saltato fuori questo evento più complesso, un gioco con regole e contenuti precisi, dati anche dal workshop che abbiamo fatto.

Questo workshop fa parte del vostro percorso di studio o è nato per passione?

Lara: È nato proprio in occasione dell’evento e ne abbiamo organizzati due. Durante il primo workshop abbiamo pensato ai contenuti del gioco. Inizialmente volevamo creare noi stesse le varie situazioni delle caselle basandoci sui dati che avevamo raccolto, come la nostra esperienza o interviste. Poi ci siamo rese conto che parlando con gli effettivi “new locals”, saltavano fuori cose più interessanti e preferivamo raccontare la loro esperienza per capire cosa c’era qui a Bolzano.

Qual è stata secondo voi l’esperienza più interessante che avete avuto modo di incontrare e presentare a questo gioco?

Lara: Ascoltando diverse storie sono rimasta positivamente sorpresa. Però ho notato che ci sono molte cose a cui non facciamo caso ma che effettivamente esistono. Per esempio, un ragazzo africano è stato nostro ospite e ci ha raccontato che spesso le persone che vendono oggetti per strada sono africani. Non vedrai mussulmani, perché generalmente loro, se vengono in Italia, cercano di costruirsi una vita loro, aprendo ristoranti o negozi. Ed effettivamente se ci fai caso, ti rendi conto che è così.

Chiara: A me è piaciuto quando durante il primo workshop abbiamo intervistato una ragazza del Master di Design, che sta collaborando con un hotel di Rovereto che si occupa della prima accoglienza dei rifugiati. E ha parlato di varie realtà che le persone ignorano. Noi le abbiamo fatto una domanda sulla casella della “prigione” e di interpretarla secondo la sua esperienza. Lei ci ha raccontato di come i rifugiati si sentano in prigione nell’hotel perché hanno il coprifuoco, orari e pasti precisi, ma queste cose non vengono dette e non si sanno. È stato molto utile per la creazione del contenuto perché era di valore, bisognava condividerlo.

Lara: Altri invece dicono che sono fortunati e hanno molti privilegi e comodità. Però, anche per una cosa molto banale come mangiare, ci possono essere dei disagi.  

Immagine: di Camilla Pizzini in occasione dell'evento "New L(oca)l"