La Facoltà di Sociologia ha seguito in diretta la cerimonia di insediamento del presidente degli Stati Uniti Barack Obama lo scorso 20 gennaio.
Ha commentanto l’evento il professor Ken Liberman dell’Università di Oregon, attualmente in visita alla Facoltà come Fulbright Senior Specialist.
Si aspettava il successo di Obama in queste proporzioni?
Obama sembra essere una persona molto rispettabile e questo aiuta molto. Due sere fa ha tenuto un party per John McCain, in onore di McCain. Se si paragona questo con Bush e Al Gore… beh, le cose sono molto differenti. Mc Cain è una persona rispettabile e le differenze tra i due – differenze personali – le hanno superate e ciascuno ha riconosciuto questa rispettabilità nell’altro. Questo certo non è male, è un solido punto di partenza per risolvere qualsiasi problema. Inoltre Obama ha telefonato personalmente a tutti i leader del partito repubblicano al Senato, gente molto conservatrice, persone che, francamente, come persona del partito democratico – io sono stato un funzionario del partito democratico in California – avrei voluto dopo quarant’anni colpire duramente. Ma questo non conta molto. Invece Obama, con grande disappunto di quelli del suo partito, non solo non ha colpito duro ma anzi ha telefonato e stabilito relazioni personali con questa gente. Si può dire che queste persone abbiano passato già oggi più tempo con Obama che con Bush, perché Bush non ha mai telefonato a nessuno.
Per quanto riguarda la Clinton, lui ha teso la mano e lei ha assunto il ruolo di segretario di stato. È una persona molto competente ed estremamente intelligente. Ha comunque delle grandi debolezze. Per esempio ieri sera è stata imbarazzata per tutto il tempo, lo si vedeva chiaramente. E non ce l’ha fatta a mascherarlo. Non è stato certo un bel momento per lei. Oltretutto ha anche ricevuto un trattamento non proprio corretto. Voglio dire, è comunque una persona straordinaria, però forse è troppo orgogliosa per vincere le proprie emozioni e mi chiedo se questo problema potrà mai essere risolto. Penso si tratti di un aspetto che causerà dei problemi.
È una situazione molto diversa rispetto a quella italiana…
Non me ne intendo molto di politica italiana, ma per quello che posso vedere voi avete una vera sinistra e una vera destra.
Secondo lei quali erano i punti di forza di Obama e sono stati supportati dal suo carisma mediatico?
Beh, all’inizio ero molto sospettoso perché Obama era così… In America, intrattenimento e informazione sono diventati la stessa cosa. Una volta le notizie erano una cosa e l’intrattenimento un’altra, mentre adesso tutte le notizie sono allo stesso tempo anche intrattenimento – quello che chiamiamo infotainment. Ci sono queste stupide trasmissioni che guardano davvero tutti – Entertainment Tonight, Access Hollywood… – e che promuovono la feticizzazione delle star, soprattutto delle star che diventano politici. Non mi importa chi siano le star e non ho niente contro le star che fanno politica (ad esempio, Richard Gere sta facendo un buon lavoro per i Tibetani – conosco Richard Gere, andiamo insieme alle lezioni del Dalai Lama), ma è diventato un mezzo per vendere l’intrattenimento, è il capitalismo che vende spot commerciali.
Obama è stato presentato come un fenomeno, come una specie di rock star. Ma non c’era contenuto. La parola “cambiamento”, un sacco di ottimi slogan, ma pochi contenuti. Poi però mi sono messo a riflettere e ho pensato che è successo lo stesso con Kennedy. Anche con John Kennedy c’erano tanti slogan vuoti… “una nuova generazione”, “è arrivata l’ora del cambio generazionale” eccetera e nemmeno con John Kennedy c’erano contenuti. Così ho pensato che forse non c’era tanta differenza. Poi, finalmente, ho sentito Obama parlare. Ha tenuto un discorso al mio campus, proprio fuori dal mio ufficio – davanti a 5-6000 persone – e l’ho trovato così brillante! Si capisce che un uomo ha cervello da come parla e da come pensa… e da cosa pensa di quello che pensa. Mi ha fatto un’enorme impressione per la sua facilità di pensare – di pensare di trovare grandi idee. E anche la sua calma, il suo non voler correre e perdersi, ma la sua abilità di guardare se stesso mentre agisce. Mi sono detto che era il primo politico in vita mia che sentivo parlare – voglio dire – così direttamente, faccia a faccia e che riuscivo a seguire. Per me è stata una trasformazione. La sua energia è molto importante. Ci troviamo a dover fronteggiare problemi enormi, dappertutto. Il mondo vuole che Obama risolva i problemi. I Tibetani vorrebbero che risolvesse i loro problemi con la Cina, gli Indiani e gli Egiziani sperano che sistemi i loro. Per non parlare dell’Africa. Lui lo sa, e vuole fare del suo meglio. E ha abbastanza energia per farlo. Un sacco di energia per usare bene la testa. E poi è disciplinato, è pragmatico. Un’altra cosa che mi fa credere in lui
Un’altra cosa che mi fa credere in lui mi è venuta in mente ieri sera: quando ha finito gli studi ha ricevuto un sacco di proposte da grosse ditte di Manhattan, ma lui ha deciso invece di andare a Chicago a lavorare come community organizer con la comunità nera. Questo ci dice qualcosa sulla persona. Ma, cosa ancora più importante, ha trovato subito i due migliori community organizer di Chicago, che operavano nel South Side sotto la guida di Saul Alinsky, che è morto a circa ottant’anni nel 1980, o comunque verso la fine degli anni Settanta, e che era il più efficiente organizer dei ghetti d’America.
Alinsky aveva iniziato a lavorare a New York, aveva fondato nel Nord dello stato di New York l’industria della Kodak. E fondamentalmente, Alinsky non aveva un programma né marxista, né di sinistra, niente. Lui arrivava e chiedeva alla gente di cosa avesse bisogno per migliorare la propria vita e renderla più positiva. E diceva: “Siete voi che dovete stabilire il programma: uno, due, tre, quattro, cinque…”. E qualsiasi cosa loro dicessero, lui la faceva. Diceva ai collaboratori “Non dovete prendere decisioni, perché ogni volta che prendete una decisione perdete l’opportunità di insegnare a questa gente come decidere autonomamente. Ed è più importante che siano loro a decidere, anche se la decisione è sbagliata, piuttosto che siate voi a decidere, anche se la decisione è giusta.” Questo è l’atteggiamento giusto di un community organizer che ha veramente a cuore la gente. Ed è da due di questi collaboratori che Obama iniziò la sua istruzione negli anni Ottanta. Come si fa? Cos’è un community organizer? Gli piaceva l’approccio di Alinsky perché lui è pragmatico e anche l’approccio di Alinsky lo era. E anche questo mi dà fiducia: Obama vuole il cambiamento, ma non è guidato da una cieca ideologia che gli impedisce di ascoltare la gente. Questa facoltà, la facoltà di Sociologia di Trento, è nota in tutto il mondo per essere “di sinistra”; anche il mio dipartimento è di sinistra; pubblichiamo la “Monthly review”, che è la rivista marxista n. 1 al mondo. Io personalmente non sono marxista, anche se a volte concordo con alcune delle tematiche trattate. Io sono buddista per prima cosa e penso che parecchi miei colleghi, anzi gran parte dell’umanità abbia una grande dose di umanità, ma in astratto: vorrebbero aiutare tutti i poveri della terra ma non riescono a dire buongiorno alla persona dell’ufficio accanto. Non mostrano nessuna compassione per le persone che si trovano di fronte, e invece è proprio questa la vera compassione. Ma Obama lo fa. Alcuni della sinistra lo criticano perché non si schiera per nessuna causa, o si schiera molto poco. E’ un problema, ma per le ragioni che ho citato dico: lasciamogli un paio d’anni. Nel mio libro non gli chiedo molto, ma dico che ci sono due cose che deve fare: primo, deve lasciare l’Iraq; secondo, deve creare un sistema di assistenza sanitaria nazionale. Se non farà queste due cose, i Democratici perderanno il congresso, la gente che lo ama lo abbandonerà e lui perderà le prossime elezioni. Spero che se ne renda conto, anche se non sono sicuro.
Obama è il primo presidente afroamericano degli stati uniti. Un gran passo in avanti per l’america…
Questa è la cosa più importante di tutta la faccenda. E’ importante per un sacco di ragioni. E’ stata una lunga lotta per arrivare a questo punto. Non avrei mai pensato – e ho insegnato relazioni interraziali e sociologia per 25 anni – avrei scommesso tutto quello che possiedo che questo non sarebbe mai successo. C’è voluta, come ho detto ieri sera, una “tempesta perfetta” perché succedesse. E’ vero che di solito si succedono due turni dei Democratici e due turni dei Repubblicani, e che questo era il turno dei democratici, ma con un candidato di colore il turno rischiava di saltare. La guerra in Iraq ha sconvolto parecchio la gente, e molta più gente è andata a votare, ma non sarebbe bastato; lui ha cominciato a giocare la carta della razza in aprile, ma stava per fallire. Poi è stato molto fortunato, è riuscito con la sua abilità organizzativa a spremere fino all’ultimo voto anche gli stati repubblicani. Sono questi che gli hanno dato il vantaggio sulla Clinton. E quando ha conquistato la nomination, la situazione economica ormai era in una pessima situazione. Così la gente a cui non piaceva il patto dei repubblicani forse è stata disposta ad ascoltare un uomo di colore proprio perché era preoccupata per l’economia. E poi, c’è stata ancora un’altra “perla” di questa tempesta perfetta: il leader repubblicano McCain era l’unica persona rispettabile che ha partecipato alle primarie: tutti gli altri erano mentitori, ladri, arroganti bastardi. Ma McCain è un uomo rispettabile: non avrebbe lasciato che usassero la carta dalla razza nel modo che volevano loro. E questa è stata una fortuna, perché quando hanno cominciato a giocare la stessa carta era ormai troppo tardi perché McCain aveva scelto Sarah Palin, e Sarah Palin è stata un tale shock per gli americani, per carità, un altro Bush! E poi McCain è così vecchio, sarebbe stato il più vecchio presidente degli Usa. C’è stata la convergenza di tutti questi fattori. Eppure, nell’ultima settimana è sembrato che le cose non funzionassero, perché in cuor loro gli americani, gli americani bianchi, non volevano votare per un nero, io lo so questo. Allora è spuntato Colin Powell, che gode di apprezzamento internazionale, e che ha dato un forte appoggio alla candidatura di Obama. Colin Powell è un uomo di colore in cui anche gli americani bianchi hanno grande fiducia. Così è successo l’impossibile: gli americani hanno eletto un presidente nero. Il verificarsi di un evento così improbabile insegna che il progresso è possibile, che nell’evoluzione del mondo non ci sono solo cose cattive, ma ogni tanto può esserci anche qualcosa di buono. Forse, se gli americani possono superare il pregiudizio razziale, che è molto radicato. Gli ispano-americani sono più razzisti dei bianchi. Gli ispano-americani… io passo sei mesi all’anno in Messico, parlo spagnolo e i messicani mi piacciono moltissimo, ma gran parte dei messicani non amano i neri. E questo è un grosso problema, e non ha solo a che fare con la concorrenza per i posti di lavoro, è qualcosa di molto più profondo e mi dà parecchio fastidio perché vivendo con questa gente sento slogan che mi ricordano l’America degli anni Sessanta. Eppure gli Ispanici hanno votato per Obama. Mi commuovo raccontandolo. Il fatto che gli ispano-americani siano riusciti a superare il loro razzismo e a votare per un uomo di colore che è intelligente, giovane, energico e ha le vedute giuste significa che tutta l’America sta vincendo il razzismo. Sembra impossibile, ma è accaduto. E se noi ce l’abbiamo fatta, perché non dovrebbero farcela anche in Bosnia, in Palestina. Perchè dovrebbero insistere a uccidersi l’un l’altro? I Turchi e i Greci. Voglio dire, anche i protestanti e i cattolici in Irlanda del Nord hanno fatto incredibili progressi. I Tamil e i Singalesi buddisti, che cosa terribile. Conosco bene e amo la gente Tamil, ma alcuni di loro sono terroristi! E i buddisti, anche loro stanno combattendo una guerra. E’ molto preoccupante che ci nel mondo stia accadendo tutto questo. Se l’elezione di Obama può rappresentare un segnale del fatto che queste inimicizie, questi conflitti, che sembrano irrisolvibili, possono essere risolti, ci dà una grande speranza. Se questo è accaduto in una società come la nostra, significa che può accadere ovunque. È meraviglioso.
(Intervista Francesca Re. Per la traduzione di ringraziano Alba Bertolini e Michelangelo Felicetti)