Mattia Campo Dall’Orto racconta la sua Licantrophilia

di Lorenza Giordani

Quello con Mattia è stato un incontro fortuito: correvo in bici per il sottopassaggio di via Taramelli, quando non ho potuto che inchiodare la mia Graziella rosa e far rimbombare lo stridore dei freni. Il muro bianco del sottopasso non era più bianco e oramai una donna lupo reggeva in mano una fiamma.

Mattia è uno dei vincitori di Lupi in città!, concorso di idee e progetti per 8 progetti artistici sul tema uomo-lupo bandito l’estate passata nell’ambito del progetto europeo Life WolfAlps.

Come ho già avuto modo di raccontarvi qui, l’opera  – LICANTROPHILIA – si trova nel sottopassaggio di Via Taramelli, e grazie al fatto di averlo incontrato durante l’esecuzione, Mattia si è reso disponibile a rispondere a qualche domanda.

Qualche informazione su di te.

Mi chiamo Mattia Campo Dall’Orto, sono originario di Trieste e da ormai vent’anni faccio arte sui muri.

 Cosa ti ha portato a Trento? Come hai deciso di  partecipare al progetto Lupi in Città?

 Ho deciso di partecipare al concorso del Muse perché mi ha  incuriosito il tema. Il Muse, in questo caso rappresentante di una comunità scientifica, si è accorto che per avere una comunicazione efficace sul tema del lupo, una modalità d’impatto poteva essere quella di coinvolgere degli artisti. In questo modo, infatti, si è potuto reinterpretare il rapporto tra uomo e lupo in maniera creativa, cercando delle soluzioni per comunicare alla gente.

Che tipo di progetto avevi presentato alla giuria?

Diversamente da quanto si possa pensare, non ho presentato un bozzetto del mio lavoro. Mi sembra assurdo disegnare qualcosa per uno spazio o una comunità che non conosco, poiché non avrei elementi conoscitivi sufficienti per proporre un buon lavoro. Quello che ho fatto, quindi,  è stato proporre un metodo: ho declinato con diversi linguaggi artistici un tema – quello dei licantropi -che mi era già familiare, poiché ci lavoro dal 2015, forte del fatto che sono comunque abituato a lavorare in ambienti a contatto con il pubblico. Il grosso del mio lavoro però è stato fatto a Trento, incontrando gli scienziati del Muse e vedendo in loco come ispirarmi, per pensare alle tecniche da utilizzare nell’opera  definitiva. In ogni caso, oltre alla proposta progettuale c’erano però anche una lettera motivazionale e il proprio portfolio.

Come sei arrivato a ideare la donna-lupo?

Il progetto innanzitutto prevedeva due periodi di residenza di una settimana, una a due mesi di distanza dall’altra. Durante questi periodi noi artisti abbiamo avuto modo di dialogare con gli scienziati del muse sul tema del lupo, parte cruciale della genesi dell’opera.

Pensare però alla donna-lupo, è un’idea che mi è venuta da un passaggio che ho letto tratto da ‘Donne che corrono  coi lupi’ di Clarissa Pinkola Estés. La repressione nei confronti dei lupi, perché considerate bestie malvage, stigmatizzate dalla cultura popolare come elemento negativo, veniva paragonata all’oppressione nei confronti del genere femminile, mostrando come gli angoli più nascosti ed incompresi, vulnerabili, sensibili e solidali della natura femminile siano stati repressi dall’uomo nell’arco della storia proprio perché considerati pericolosi. Ciò che sfugge al controllo del genere dominante, quello maschile, è stato a lungo represso.

Pur partendo da questa riflessione, non ho voluto creare un’opera sulla discriminazione contro le donne, bensì riflettere sulla figura femminile all’interno dei gruppi di uomini e dei branchi di lupi. Oltretutto, avevo intenzione di cambiare l’attitudine che avevo nei confronti dei licantropi, che avevo sempre utilizzato come simbolo delle dinamiche tra esseri umani in situazioni di conflitto. Muovendo da queste premesse, dunque, ho pensato che la donna licantropo è qualcosa di raro, difficilmente rappresentata a livello iconografico, e che una donna lupo poteva in qualche modo evocare degli aspetti positivi che avvengono nei gruppi di individui, branchi e gruppi di uomini.

Con gli scienziati ho approfondito la figura femminile del lupo nelle dinamiche di branco, di conflitto, di riappacificazione, solidarietà e cura degli individui, e da qui ho creato questa donna-lupo. Nelle mie intenzioni ispira tenerezza, offre una fiamma, la difende dal vento, e tiene accesso questo calore attorno al quale possono radunarsi altri lupi  o altri esseri umani. Una sorta di luce nel bosco.

Sei riuscito a passare del tempo a Trento, al di fuori degli incontri con gli studiosi?

Purtroppo no. Questo lavoro rappresenta un’eccezione rispetto a quelli che conduco normalmente, e mi è spiaciuto molto non incontrare le persone del quartiere in cui ho dipinto. Qui la ricerca si è svolta per lo più all’interno del museo.  Devo comunque riconoscere di aver apprezzato molto la possibilità di lavorare in maniera diversa rispetto al solito in quest’occasione, perché non capita molto spesso di collaborare con persone così altamente specializzate, e di poter dialogare assieme così proficuamente.

Una domanda un po' più personale: come nasce la tua carriera artistica?

Dipingo fin dal 1997 e ho un passato da writer; l'esperienza di azioni non sempre alla luce del sole è stata determinante per la mia formazione. Lavorare in quel modo fa sviluppare una certa attitudine nel sfidare se stessi, nell’adattarsi e nell’ elaborare strategie di azione, non limitandosi a pensare all’opera, ma trovando ogni volta diverse modalità di realizzazione. Inoltre, l’esperienza dei graffiti mi ha aiutato a stringere legami importanti con le persone  nonché a sviluppare da adolescente una passione forte per la pittura. Dipingere era cosa che facevo io a spese mie, nessuno mi obbligava a farlo, nessuno mi stimolava a farlo, ed era sempre una mia scelta, di cui, per quanto fosse contro le regole, mi assumevo le responsabilità. Per un adolescente questa è una cosa importante. Poterlo inoltre fare assieme a pochi amici selezionati era una cosa ancor più importante.

Quando sei passato dall'altra parte?

Sono voluto passare a lavorare alla luce del sole quasi subito: in questo modo, sentendo le critiche e i complimenti delle persone, ci si mette in gioco continuamente. Negli ultimi 10 anni mi sono concentrato di più su me stesso e negli ultimi cinque o sei ho puntato maggiormente su una carriera in questo settore, che va oltre la strada e spazia in gallerie e in laboratori; apprezzo sempre di più la parte didattica, poiché mi piace sia lavorare con giovani e giovanissimi, che con gli anziani, categoria vulnerabile che comunque ha tanto da dare.

Come ci si sente a creare un'opera che si sa potrebbe non durare?

Fare street art significa accettare che le opere di oggi possano sparire domani, significa accettare il continuo mutamento. Accetti che possano durare poco e venire distrutte; il tempo, il clima, gli attori metereologici fanno il loro. Oltretutto, moltissime volte si finisce a dipingere su una superficie che è già compromessa, avendo la certezza della sua sorte. A volte però le opere durano, e rivederle dopo dieci anni ti fa un po’ sentire vecchio, e un po’ ti fa riconoscere quanto profonda possa essere la propria (ri)evoluzione artistica.

Ricordi tutte le tue opere?

Sì, le opere le ricordo tutte. Certamente ricordo ciò che ho dipinto, ma impresse nella mia mente rimangono le situazioni, le persone che ho incontrato, gli eventi collaterali. Quando ripenso alle opere le vedo vecchie, sorpassate, percepisco quanto tempo sia passato, mentre le relazioni che creo non passano mai, non sono mai superate, ricordo le emozioni in maniera vivissima. Alla fine, uno dei veri motivi per cui lo faccio è vivere queste emozioni, non produrre opere. Le opere sono pretesto per crescere come persona; essere un bravo artista e un professionista è importante, ma la vitalità, l’ispirazione, la propensione al cambiamento mi deriva dagli incontri che faccio.

Quali sono i complimenti più belli che hai ricevuto?

Sicuramente quelli che potremmo definire indiretti: adoro quando le persone che all’inizio ti sono ostili poi cambiano, si emozionano di fronte all’opera e diventano tuoi sostenitori, facendosi promotori della tua arte anche di fronte ad altre persone, sentendola loro.

I progetti che mi danno più soddisfazione, inoltre, sono quelli di co-progettazione, in cui le persone possono partecipare: io mi pongo nella maniera più empatica possibile ascoltando gli altri, e creo qualcosa che non risulta mai indifferente a chi vi ha contribuito; mi sento in questo modo accettato, ed insieme creiamo una bella sinergia per collaborare.

 Ringraziando Mattia per il suo tempo, vi invitiamo a visitare la sua e le altre opere della mostra Lupi in città! che durerà fino al 7 gennaio 2018.

 

 

Foto gentilmente concesse da Mattia 🙂