Di Michele Anesi | Foto: Gregor Khuen Belasi©
“Transart is a contemporary culture festival that offers to a curious and open audience music projects and contemporary art at atypical sites, within the range of experimentation joint to quality.” Queste le parole con cui Transart 2016 si presenta al pubblico – Festival iniziato mercoledì scorso per concludersi il 25 settembre prossimo -, ma che ben si adattano anche a descrivere ciò che è accaduto durante la desueta opening night. Parole, tuttavia, che in quella sede hanno lasciato spazio al silenzio, all’ascolto, all’immersione totale all’interno di un ecosistema percettivo totale. Un’esperienza notevole che posso solo provare a descrivervi.
Sotto un cielo in cui il rosso sangue del tramonto si accapiglia con il prorompente grigio della sera, le fuligginose porte delle Officine FS di Bolzano si aprono per ospitare il numeroso pubblico che si accalca educatamente all’entrata. Il programma prevede due momenti: il warm-up è affidato al virtuoso quartetto di percussionisti conTakt Percussion-Group che presenta “Coyote Builds North America”, un criptico racconto in musica ispirato alle storie e alle leggende degli aborigeni dell’Alaska. Diretto, scarno, immediato. Fuochi d’artificio in una landa desolata.
L’attesa di tutti è però rivolta a “Become Ocean”, composizione per orchestra – in questo caso interpretata dall’Orchestra Haydn, diretta da un tesissimo quanto granitico Francesco Bossaglia – creata da John Luter Adams, vincitore del premio Pulitzer per la musica nel 2014, che, l’anno seguente, ha saputo vincere un prestigioso Grammy Award nella categoria “miglior composizione classica contemporanea” proprio con questa piece. Non una composizione qualunque, quindi, ma un viaggio ispirato ai paesaggi dell’Alaska e dell’Oceano Pacifico.
“La vita è nata dall’oceano. Con lo scioglimento dei ghiacci e l’aumento del livello dei mari, l’uomo prima o poi tornerà a DIVENTARE OCEANO.” (John Luther Adams)”
Durata poco più di quarantadue minuti, “Become Ocean” ha trasportato gli astanti dalla limpida superficie increspata dalle onde fino alle profondità oceaniche più tetre e immobili. Grazie all’inedita disposizione a ferro di cavallo dei musicisti (a sinistra i fiati, in centro gli archi e le percussioni e a destra gli ottoni), gli spettatori erano letteralmente circondati dalla musica che li colpiva da molteplici direzioni rendendo l’esperienza acustica immersiva e totalizzante. Il placido vagare in acque tranquille o l’energico spunto per scappare a una situazione di pericolo venivano sottolineati, oltre che da palpitanti crescendo/calando dell’orchestra, anche da un minimale ma efficacie gioco di luci che, variando di intensità, colore (i toni andavano dal bianco, al blu, al viola al verde mare) e posizione trasformavano l’affascinante ambiente delle Officine in un fiordo sperduto al limite del Circolo Polare Artico.
Chiudendo gli occhi, amavo immaginarmi placidamente sdraiato sul dorso di un'enorme balena che vagava libera nella vastità dell’oceano. Una sensazione di libertà sconfinata, eterea, inafferrabile, ma precisa come mai prima. Un viaggio che ha saputo colpire tutti indistintamente e che si è concluso con applausi convinti e un calice di ottimo vino offerto dall’organizzazione.
Transart Festival 2016, tuttavia, non finisce qui: molti (e davvero interessanti) gli appuntamenti ancora in programma e tutti da scoprire. Questa sera consigliamo Transart Clubbin'! Il programma completo lo potete trovare QUI. Buona scoperta!