di Lorenza Giordani
Foto in alto: copyright di Siv Dolmen
Tra le esperienze più significative di questo Festival dell’Internazionale a Ferrara occorre sicuramente menzionare il workshop in compagnia di Amira Hass, giornalista israeliana corrispondente dai Territori Palestinesi.
Figlia di due attivisti comunisti ebrei, Amira è nata e cresciuta a Gerusalemme, dove dal 1989 lavora per il quotidiano Haaretz. Capelli un po’ scompigliati e occhialetti rotondi, si è sempre distinta per professionalità nel ritrarre con sensibilità il problema dell’occupazione militare israeliana in Palestina, dalla quale è corrispondente da più di vent’anni.
Assieme a lei sono stati affrontati i dubbi etici e professionali di fronte ai quali si trovano ogni giorno i giornalisti che si occupano di conflitti e lotte sociali. È pensabile sostenere una causa come quella Palestinese e al contempo non identificarsi con l’intera linea di azione? Ciò diviene possibile a patto di chiedere a se stessi, articolo dopo articolo, se ciò di cui si sta scrivendo, le fonti che si stanno utilizzando, l’uso che si sta facendo delle notizie è conforme alla propria etica; solo una costante autocritica sul proprio operato permette di non appiattirsi su un pensiero o su una posizione.
Amira Hass questo lo sa bene, poiché è abituata a mettersi in posizioni difficili: giornalista israeliana estremamente critica nei confronti del proprio paese – si autodefinisce ‘anti-occupazione’– vive e scrive da vent’anni nei territori Palestinesi. Se da una parte sostiene la loro causa, dall’altra ne segnala le contraddizioni, i problemi e le incognite di coloro che vivono al di là del muro.
Nell’ambito del festival dell’internazionale, Amira Hass ha anche presentato il libro “Breaking the Silence”, raccolta di testimonianze di veterani ed ex combattenti dell’esercito israeliano – comandanti, ufficiali e soldati semplici, uomini e donne – che hanno prestato servizio nei territori palestinesi e che hanno deciso di rendere pubbliche le loro storie per mostrare a Israele e al mondo la realtà della loro esperienza.
In un paese con la leva obbligatoria di tre anni per i maschi e due per le femmine, dove si cresce nella retorica anti-palestinese e nell’idolatria dell’Esercito, associazioni come Breaking the Silence risultano essere piuttosto scomode, e vengono in tutti i modi osteggiate.
Date un'occhiata: http://www.breakingthesilence.org.il/