di Giulia Leccese
Si è conclusa ieri sera Intermittenze, la kermesse che per ben tre giorni ha vestito Riva del Garda di un ricco e variopinto manto di letteratura, poesia, musica e danza. Veste insolita per una spensierata e turistica cittadina dell’Alto Garda, che in questa rara (e quasi unica) occasione ha visto vie, piazze e portici inondati di cultura.
L’associazione che si è fatta motore dell’iniziativa è Rapsodia, nata nel febbraio 2015 con l’idea di promuovere lo sviluppo culturale in tutte le sue espressioni, tramite una fitta rete di intrecci e relazioni con scrittori e case editrici. Il suo presidente, Emiliano Visconti, già precedentemente agente editoriale per Einaudi, ha in attivo sin dal 2012 una serie di progetti a sostegno della lettura nelle scuole, promuovendo l’incontro tra studenti e scrittori. Tra i numerosi festival letterari che hanno attraversato l’Italia, da Roma all’Emilia Romagna, Rapsodia è già sbarcata in Trentino, quando, nel 2018 nasce Attraversamenti, rassegna in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive di Rovereto, in cui le lettere incontrano la psicologia e che vedrà una seconda edizione proprio il mese prossimo.
Affianca Rapsodia il Comune di Riva che (finalmente!), accanto ad eventi di fruizione prettamente turistico-commerciale, recupera l’ultimo rantolo d’estate e disseta chi da anni avverte un forte bisogno di cultura: addirittura le porte della Biblioteca Civica ampliano la propria apertura, rendendo più che mai felice qualche studente in sessione.
Le “intermittenze” che la manifestazione ha causato in questi tre giorni, all’interno del quieto vivere rivano, sono numerose e una più stimolante dell’altra, mentre musica e letteratura si uniscono vorticosamente, ora sui passi di un tango, ora sotto le dissonanze del jazz, ora tra le pagine di un romanzo. Queste due regioni dell’intelletto umano, che generano frutti da una feconda urgenza di comunicazione, trovano l’emblematico paradosso della loro vicinanza, nel momento in cui difficile è distinguere nettamente dove finisca la musica e dove invece cominci la letteratura. Ne è un esempio il premio Nobel più discusso degli ultimi anni: Bob Dylan è stato magistralmente raccontato da Massimo Zamboni, che molti conosceranno come chitarrista dei CCCP, e che, accompagnato dal duo Acousting Plays Dylan, ha trasportato un gremito cortile della Rocca, nella dimensione di uno dei più inafferrabili geni del Novecento.
La letteratura si intreccia nuovamente con la musica, dal momento che quest’ultima fa spesso dei suoi interpreti personaggi fittizi, degli alter ego di portata quasi romanzesca, che si imprimono nella coscienza della società e generano eclatanti reazioni di costume, di genere, in una vera e propria psicosi. Il funambolico Luca Scarlini ha riportato nel presente la psicosi che il personaggio di Ziggy Stardust, l’androgino profeta lebbroso creato dal genio eclettico di David Bowie, provocò nel mondo attorno a sé, cambiandone per sempre le carte in tavola.
Ma l’incontro chiave dell’evento, la conciliazione di questi nostri due mondi che il pedante accademismo tende a dividere, ha visto protagonista un colosso della storia cantautorale italiana: Francesco Guccini è lettore appassionato e maestro di intermittenze tra letteratura e canzone d’autore. Con la verve e il tagliente umorismo emiliano che lo caratterizzano, Guccini ci ha presentato la sua ultima fatica letteraria, Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto, mescolando con ironia dialetto, amore verso il territorio e la sua gente, musica e poesia. Allo snodo fondamentale della nostra questione, a quel labile confine che separa le due nobili arti della parola, Guccini risponde, con spiazzante semplicità, che possiedono pari dignità, ma che tuttavia una non è assimilabile all’altra e che, comunque, “fossi stato al posto di Dylan, non avrei fatto tanto il fighettino e il Nobel me lo sarei preso!”.
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