JOBS ACT:
Ne abbiamo sentito parlare tutti, di questa nuova legge dal nome inglese (forse inutilmente? ): tecnicamente, è il d.lgs 23/2015, rubricato “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”.
Il testo è entrato in vigore il 7 Marzo, bypassando il consueto termine di vacatio legis (le due settimane successive alla pubblicazione di una nuova legge nella Gazzetta Ufficiale)
Cerchiamo di capire meglio come può riguardarci questa riforma del lavoro:
IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI: è il nuovo tipo contrattuale introdotto dal Jobs Act: è un contratto di tipo subordinato a tempo indeterminato standard, che si differenzia “solo” nella parte relativa alla fine del rapporto di lavoro; le tutele crescenti del nome fanno riferimento infatti alla disciplina in caso di licenziamento: solo in pochi casi si opererà il reintegro, in tutti gli altri il lavoratore avrà diritto ad un indennizzo, la cui entità è tanto maggiore quanti più anni di servizio sono stati prestati. Per l’esattezza, si tratta di due menislità dell’ultima retribuzione globale percepita per ogni anno di servizio, per un minimo di 4 fino ad un massimo di 24 (nei casi in cui il giudice non rilevi l’insussistenza del fatto); in caso di vizio procedurale si tratta di una mensilità per ogni anno di servizio, per un minimo di 2 fino ad un massimo di 12 mensilità.
ADDIO REINTEGRO? Quasi. Sarà possibile venire reintegrati sul posto di lavoro in caso di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale e nei casi di licenziamento per motivo soggettivo o giusta causa (i licenziamenti disciplinari) in cui il giudice riconosca che il fatto materiale non sussiste.
CHI COINVOLGE? Tutti i lavoratori che verranno assunti a tempo indeterminato con un contratto a tutele crescenti (Attenzione! Non si applica ai dipendenti pubblici)
LA ROTTAMAZIONE DEL PRECARIATO: nelle parole del Presidente del Consiglio Matteo Renzi è questo l’obiettivo del Jobs Act.
Rottamazione che dovrebbe avvenire spingendo le aziende ad utilizzare come strumento principale il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, grazie agli sgravi fiscali nei primi tre anni di attuazione della legge.
Ma come abbiamo detto, questo vale per le nuovi assunzioni. E I PRECARI DI OGGI?:
pare che gli italianissimi co.co.co e co.co.pro siano destinati a scomparire (anche se non completamente). I co.co.pro (contratti di collaborazione a progetto) in essere potranno proseguire fino alla scadenza, per questo 2015. Dal 2016 inizia la metamorfosi: diventano a tempo indeterminato se la prestazione è continuativa, di contenuto ripetitivo e organizzata dal committente nelle modalità. Con alcune eccezioni: non si trasformano i co.co.pro per i professionisti iscritti agli ordini, e quelli che derivino da specifici accordi con “le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”.
CONTRATTO A TERMINE: si riconfermano le novità introdotte dal decreto Poletti nel 2014. Il ricorso al contratto a tempo determinato è consentito per 36 mesi (con la Riforma Fornero erano 12) senza causale: non sta più all’imprenditore spiegare le ragioni per cui vi ricorra.
LAVORO ACCESSORIO. Atipico anche questo, se non altro perché non viene stipulato alcun contratto. Il lavoratore viene pagato ad ore di lavoro attraverso i cosiddetti buoni lavoro. Si tratta di una forma di lavoro economica per l’impresa, il cui abuso già la Riforma Fornero preveniva imponendo un tetto massimo (alla retribuzione complessiva di tutti i lavoratori accessori dell’impresa). Tetto che la Riforma Renzi ha alzato da 5000 a 7000 euro, col rischio– critica qualcuno-di ostacolare la diffusione del contratto a tutele crescenti.
Angela Sette Carlotta Garofalo