“Hanjo”: tra amore e realtà, tra sogno e follia

Domenica 2 aprile al Teatro Sociale di Trento è andato in scena “Hanjo”, rappresentazione lirica moderna che vede la reinterpretazione dell’opera di Yukio Mishima attraverso il libretto di Toshio Hosokawa. Suddivisa in sei scene e dalla durata complessiva di ottanta minuti, l’opera narra il fallito ricongiungimento di Hanako – geisha riscattata e ospitata dalla pittrice Jitsuko – e Yoshio, con cui aveva scambiato il proprio ventaglio, promettendosi di rivedersi.

Il libretto si basa sulla traduzione inglese di uno dei "Cinque N? Moderni" (1956) di Mishima, che riprende il dramma di Motokiyo Zeami del XIV secolo cambiandone il finale. Se nella scrittura originaria i due amanti riescono a rincontrarsi, nella rielaborazione dello scrittore giapponese Hanako, ormai prigioniera di una Jitsuko innamorata e della follia generata da un’attesa lunga tre anni, non riconosce Yoshio, che acquisisce ai suoi occhi le fattezze di un morto. Hosokawa decide, in “Hanjo” di fondere i modelli dell’opera occidentale e quelli del teatro tradizionale N?, in cui spesso i protagonisti sono persone morte, o donne impazzite, che vagano tra un mondo irreale e il nostro, per raccontarci la loro storia. Al canto lirico occidentale si accostano le movenze lente e studiate degli eccellenti interpreti Eri Nakamura, soprano nei panni di Hanako, Abigail Fischer, mezzosoprano nel ruolo di Jitsuko, e Adam Richardson, baritono per Yoshio. Le raffinate coreografie dei cantanti vengono sostenute dalla direzione di Marco Angius, che guida l’orchestra  "Haydn" nell’esecuzione di partiture che sospendono lo spettatore tra sogno e realtà attraverso l’uso acuto di strumenti come le campanelle giapponesi, mentre il flauto basso riprende la voce interiore di Hanako.

La tensione tra narrazione e pensiero si esprime tra l’uso alternato di inglese e giapponese in tre stili diversi: canto, parlato e canto-parlato (Sprechgesang), come se avvenisse una “storia nella storia”: quella esposta al pubblico e quella interna dei personaggi. La musica, che inizia, con un accordo a cui vengono stratificati elementi sonori, esplode in un brusio, quello della stazione in cui Hanako attende ogni giorno Yoshio. L’andamento musicale narra la discesa nella follia della protagonista attraverso l’uso di dissonanze, glissati e salti continui tra note basse ed alte in accordi armonizzati. Tanto più la consapevolezza e la coscienza si disciolgono, quanto più timbri e volumi si fanno più scuri ed alti. L’esplorazione dell’inconscio di Hanako e delle volontà di Yoshio e Jitsuko viene accompagnata dalle movenze eleganti di Alice Raffaelli, con cui i gesti vocali prendono corpo.

Attraverso la regia di Luca Veggetti, l’azione viene “intrappolata” nel perimetro stilizzato di una stanza che riprende le caratteristiche geometriche dei palchi quadrati del teatro N?. Le “mura” di questo ambiente comunicano con una stanza adiacente, rappresentata dallo spazio restante del palcoscenico. Tuttavia, non è solo di camere che si parla ma di luogo intimo e luogo pubblico: Hanako ci parla solo all’interno del perimetro disegnato, come se questo divenisse il proprio spazio interiore e privato, disturbato da Jitsuko e, successivamente, dall’improvvisa comparsa di Yoshio. Lo spazio dell’azione viene completato dall’opera d’arte di Moe Yoshida, un pannello dipinto su entrambi i lati attraverso cui la il lighting design di Clifton Taylor disegna motivi differenti a seconda dell’angolazione delle luci, sospendendo il pubblico tra sogno e realtà.

In conclusione, “Hanjo” di Toshio Hosokawa accompagna lo spettatore in un viaggio intimo ed essenziale, in cui elementi esogeni ed endogeni si mescolano in una realtà dai confini liquidi.

 

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