Grazie Pirata, ci manchi

È una domenica di fine maggio, anche se dal tempo non si direbbe, una domenica di sport. I piloti di Formula 1 gareggiano a Montecarlo, i tennisti si sfidano sulla terra rossa francese, le squadre di serie A si affrontano dando (poco) spettacolo.

Io però, comodo sul mio divano, seguo il Giro d’Italia: quindicesima tappa, la corsa rosa arriva in Trentino e passa per Trento. Siamo alle grandi montagne, quelle che contano davvero. Fabio Aru, che dopo una settimana difficile era riuscito a riconquistare la maglia di leader ai danni di Alberto Contador, è uscito dalla tappa nr. 14 con le ossa rotte, mentre il pistolero madrileno ha messo una seria ipoteca sulla vittoria finale. Mentre scrivo il gruppo, scollinato a Passo Daone, sta affrontando una discesa molto tecnica e pericolosa, d’altri tempi, prima di cominciare la scalata finale che porta al traguardo, a Madonna di Campiglio. Quando sento quale sarà la meta della tappa odierna, il mio interesse nei confronti dei corridori scema e la mia mente vola a 16 anni fa: Giro d’Italia 1999, stesse strade, stessa salita, ma in lotta per la vittoria non ci sono Contador, Aru e Uran, bensì Ivan Gotti, Paolo Savoldelli e Marco Pantani.

Marco ha conquistato nel ’98 la prestigiosissima accoppiata Giro-Tour, è riuscito a correre un anno intero senza infortuni, è all’apice della sua carriera, più forte che mai. Comincia da favorito il Giro, con l’intenzione di vincerlo per il secondo anno consecutivo. Conquista tre tappe, di cui una meravigliosa, che lo vede trionfare al Santuario di Oropa dopo una rimonta incredibile. La vittoria finale sembra ormai sua.

Alla partenza di Predazzo il Pirata si presenta calmo, sicuro di sé: si sente forte, sa di essere in forma, sa che il destino della corsa dipende solo da lui. Nonostante abbia già la maglia rosa cucita addosso, appena comincia la salita finale che conduce a Campiglio si alza sui pedali: ha deciso che vincerà anche questa tappa, è in un momento di forma straordinario e vuole dimostrarlo ancora una volta. Con uno dei suoi scatti secchi fa il vuoto dietro di sé e si getta all’ inseguimento dei due fuggitivi di giornata, li riprende e li lascia sul posto, nonostante i due provino a stargli in scia. Ora Marco è solo, dopo aver eliminato ogni avversario cannibalizza la strada, rilanciando l’andatura ad ogni tornante. Arriva sul traguardo senza nemmeno esultare, sprintando fino all’ultimo metro, mostrando una fame di vittoria che è solo dei più grandi.

È lo zenit della sua carriera, il momento in cui la sua stella brilla più fulgida. È arrivato talmente in alto che può solo cadere, e così sarà. La mattina dopo, con modalità che lasciano perlomeno qualche dubbio, il campione fragile verrà estromesso dal Giro d’Italia: da lì comincerà la sua parabola discendente, che lo porterà, dopo varie vicissitudini, alla morte.

Ma questo non è il giorno in cui ricordare tristemente la caduta di uno dei più grandi sportivi italiani degli ultimi trent’anni. Oggi è l’occasione per ricordare le grandi imprese di un uomo esile e fragile, che quando saliva sulla sua bicicletta si fondeva con essa, diventando una creatura mitologica inarrestabile, un centauro invincibile. Oggi è l’occasione per riportare alla memoria quell’agile ballerino che danzava sui pedali, facendo sognare una nazione e appassionando migliaia di sportivi in tutto il mondo.

 Oggi è l’occasione per dire “grazie Pirata, ci manchi”.

(di Leonardo Tosi)