di Martina Bartocci
Si celebra oggi la Giornata Mondiale della libertà di stampa, una ricorrenza istituita il 3 maggio del 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questa data fu scelta a ricordo di una tavola rotonda tenuta dall’Unesco a Windhoek (Namibia) nel 1991, per promuovere l’indipendenza e il pluralismo della stampa africana. Il meeting portò alla redazione della Dichiarazione di Windhoek, nella quale si rinvengono importanti principi in difesa della libertà di stampa e dell’indipendenza dei mezzi di comunicazione, quali strumenti fondamentali di ogni democrazia.
Nella Dichiarazione, poc’anzi citata, vi è un esplicito richiamo all’art.19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, il cui testo recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".
Nel nostro ordinamento, la Costituzione sancisce la libertà di stampa all’art.21, il quale prevede che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure". I padri costituenti, con questo testo, si sono posti in assoluto contrasto con il precedente periodo fascista che prevedeva controlli penetranti sulla comunicazione. La libera manifestazione del pensiero, dunque, è eretta a condizione imprescindibile per la sussistenza di un regime democratico: assicura la formazione di un convincimento personale e la presenza di un pensiero critico. La libertà di stampa incontra dei limiti solo qualora leda l’altrui reputazione. In questo caso infatti degenera nel reato di diffamazione (in particolare di diffamazione a mezzo stampa) previsto dall’art.595 del Codice penale.
La libertà di espressione è oggi fortemente minacciata dalle aggressioni a danno dei giornalisti e dalla circolazione di fake news. Queste ultime, soprattutto grazie all’avvento dei social, sono ormai all’ordine del giorno e generano confusione e disinformazione. La comunicazione è un grande potere che porta con sé una grande responsabilità: fornire notizie fondate, complete, obiettive ed imparziali. Spesso però la verità è scomoda da accertare e sono in tanti a volerla nascondere. Non a caso, assistiamo a numerose violenze a danno dei giornalisti. Nel nostro paese si stima che gli atti intimidatori nei confronti dei redattori siano stati 73 nel 2018 e 74 nel 2019. Tra questi episodi, rientrano principalmente atti provenienti dalla criminalità organizzata e atti riconducibili a motivazioni socio-politiche.
Svolgere la professionista del giornalista, soprattutto in alcune zone e in alcuni ambiti, significa dunque “fare un mestiere pericoloso”. Del resto, come afferma George Orwell: “Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentirsi dire”.
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