di Giulia Leccese
Mentre la Fase 2 permette alle strade di Trento e provincia di ripopolarsi, ai commercianti di rialzare le saracinesche e alle ansie di rimanere dietro l’angolo, la comunità universitaria, ma più in generale il mondo dell’istruzione, rimane barricata in casa: è minimo, o quasi nullo, il cambiamento delle modalità di accesso alle strutture dell’Ateneo, rimanendo ristretto ad “alcuni laboratori didattici obbligatori e per alcuni tirocini”. Queste le parole del Rettore Paolo Collini nella e-mail inviata lo scorso 12 maggio: un rituale apotropaico e rassicurante che periodicamente ha luogo nelle nostre caselle di posta, anche l’ultima comunicazione punta ad individuare e a chiarire gli aggiornamenti che porterà questa fase quantomai delicata dell’emergenza.
Mentre vengono finalmente risolti i dubbi che maggiormente hanno animato il dibattito delle ultime settimane, ovvero le sessioni d’esame e di laurea, il campo visivo si allarga fino ad abbracciare la Fase 3, compresa tra settembre e dicembre, durante la quale potremo ricominciare a varcare le porte degli edifici universitari, ma con estrema cautela: “nelle aule potrà essere occupata solo una frazione dei posti e anche se si farà ogni sforzo per dare a tutti il massimo, l’utilizzo della didattica a distanza sarà inevitabile, almeno per una parte”. Didattica in presenza, dunque, ma non per tutti e non sempre, sebbene il Rettore tenga a rassicurare che “tutto sarà organizzato in modo da non creare iniquità di trattamento tra coloro che potranno essere in presenza e coloro che parteciperanno a distanza”.
Sparirà, dunque, la seppur rara immagine di studenti seduti sul pavimento e con il pc sulle ginocchia, le file per entrare ad assistere ai corsi più seguiti.
Sparirà questo e, forse, tanto altro, si auspica per il minor tempo possibile: le occasioni di aggregazione, siano esse di svago o di formazione, le resse durante le sessioni di laurea che inondano gli ingressi di coriandoli e di chiasso, le aule studio sature di chi alacremente studia e chi, invece, fa un po’ finta.
A chi del mondo universitario non fa parte, potrebbero sembrare rinunce futili, optional accessori del diritto allo studio, cornici di un quadro in cui i soggetti, lezioni da seguire, tesi da scrivere, libri da sottolineare, rimangono identici a sé stessi e cristallizzati.
La verità è che il “quadro università” ha soggetto corale, è uno spettacolo fatto di diversi palcoscenici, è un’orchestra sinfonica (non un quartetto da camera) un po’ disordinata, polifonica, non sempre accordata sulla stessa frequenza: gli archi imparano dai fiati, anche se forse tra loro si sopportano poco, i fagotti a volte leggono in chiave di sol, mentre il contrabbasso dà il la all’ottavino.
Fuor di metafora, ciò che ad un occhio esterno potrebbe sembrare marginale, diventa spesso epicentro da cui si irradia un nuovo modo di apprendere e di formare la propria identità, oltre che le competenze. Le dinamiche sociali e le occasioni di confronto (o di scontro) si miscelano ai metodi di apprendimento convenzionali, generando nuovi punti di partenza o nuovi approdi.
Ed ora, mentre la Fase 2 permette ad alcuni di approntare nuova forma alla parola “normalità”, l’Università rimane chiusa, nonostante la sua superficie (lezioni, lauree, ricerca, esami) continui strenuamente a procedere.
Una chiusura senza precedenti, quella attuale, che farà avvertire a tutta la città di Trento, non soltanto ai suoi fruitori più diretti, la mancanza della comunità accademica: di questa orchestra sinfonica un po’ disordinata e della sua musica in continuo sviluppo, del contrabbasso che dà il la all’ottavino.
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