di Leonardo Tosi
Rieccoci, chi l’avrebbe mai detto, a commentare un’altra serata del Festival di Sanremo, la seconda.
Ci siamo lasciati ieri augurandoci un po’ più di soddisfazione rispetto allo scempio del debutto, un po’ più di frizzantezza, un briciolo di gusto curioso, un sapore che spiazza.
Come è andata? Malino.
Il velo grigio che ricopre l’Ariston ha lasciato passare veramente pochi sprazzi di luce, e sono venute a mancare persino le gaffe, l’effetto “prima serata di Sanremo” e i momenti di sconcerto da cringe, con la conseguenza di mitigare la verve degli spettatori, molto meno scattanti e taglienti sia sui social che nelle chat di commento, la finestra sul Paese Reale.
Abbiamo assistito ad un trascinarsi stanco, molle ed insipido, abbastanza deprimente.
Ora, vero, c’è la pandemia, ci sono le restrizioni, ci sarà pure stato il veto alla realizzazione di molte idee, però daje Amadeus, diamo un segno di vita che non siano i lustrini appiccicati su qualsiasi abito o semiabito apparso sul palco.
Veniamo alle note liete o quantomeno non stonate: grande emozione di Laura Pausini, fresca vincitrice di Golden Globe, nel tornare sul palco che ne ha lanciato la carriera; grande emozione di Andrea Morricone, figlio di Ennio, che dirige l’orchestra omaggiando il padre assieme al trombettista Nello Salza e al Volo (ragazzi, bravi, peccato che Twitter non si sia dimenticato quella storia dei muri pitturati); grande emozione di Alex Schwazer, finalmente omaggiato della possibilità di puntare i riflettori sulla torbida vicenda che lo vede involontario protagonista, anche se probabilmente un po’ fuori contesto; grande emozione per il (poco, e non per volontà) spazio concesso a Ibra, in collegamento da Milano, che non fa danni e ricorda Davide Astori (bravo).
Ma chi ha salvato la serata è sicuramente Elodie Di Patrizi, cambi d’abito ad ogni entrata, canzoni, coreografie, nonchalance (quante persone al mondo non sarebbero state colte da infarto vedendo cadere una delle sobrie pietruzze di Bvlgari che portava alle orecchie?), trottolino amoroso dududu dadada (grande interpretazione), tanta energia, tanta bellezza.
E soprattutto un bel monologo sul macigno che è il sentirsi inadeguati, con sentito e commosso omaggio al pianista Mauro Tre, figura importantissima nel suo percorso di crescita, e alla sua storica band, con lei sul palco per interpretare Mina.
Infine, di nuovo le canzoni, a cui facciamo precedere un’importante notazione che è sempre bene tenere a mente:
Quella che è stata salutata in maniera entusiastica come l’edizione che metteva finalmente al centro la nuova musica italiana, fornendo un’accurata fotografia del panorama musicale attuale e non portando sul palco una sfilata di pezzi da museo che soddisfassero i criteri della sacra tradizione sanremese, è stata tradita proprio dalle canzoni.
Come già detto ieri, le canzoni in gara sono un mix mal assortito di già sentito, idee trite e paura di esporsi e andare contro gli immutabili (?) gusti della platea del Festival; il risultato, con qualche ovvia eccezione, è deludente.
Qui di seguito trovate il classificone provvisorio stilato grazie ai voti della scatenata redazione di Sanbaradio, con dettaglio sulle posizioni perse o guadagnate rispetto al classificone ufficiale (che potete vedere qui – Giuria Demoscopica: mamma mia, la monnezza che hai fatto).
Servitevi pure.
La redazione di Sanbaradio guida la resistenza.
Cos’altro aggiungere se non che chi scrive non crede di poter superare indenne un’altra vittoria di Ermal Meta, che va minacciosamente addensandosi all’orizzonte (canzonetta senza capo né coda, mezza melodica, che fa contenta l’ala restauratrice), ringrazia Gio Evan per il completino sfoggiato (giacca notevole), si inchina alla magnificenza di Orietta Berti che si presenta davanti alle telecamere con un tirapugni personalizzato da sfoggiare durante una faida East Coast-West Coast, ed è decisamente rinfrancato dalla classifica che vedete qui sopra.
Le canzoni che compongono il podio, con menzione speciale per Davide Toffolo e gli Extraliscio, quarti, sono le migliori di quest’edizione. Lo Stato Sociale si presenta a questo Festival al culmine di un’operazione che, per un mese, ha messo con successo in vetrina tutti i componenti della band e le loro varie anime, La Rappresentante di Lista ha portato a Sanremo una canzone che ad ogni ascolto sembra più solida, anche se lontana dalle vette che ci ha dimostrato di poter raggiungere, e Willie Peyote firma un testo pieno di bordate, senza snaturarsi, venendo ripagato da una buona posizione in classifica (nonostante, va detto, cominci a risultare musicalmente un po’ avvitato su sé stesso).
Ora davanti a noi si staglia la serata cover+duetti, con scelte molto interessanti, da cui possono uscire forse i migliori momenti di questo Festival. Se veramente Ibrahimovic e Mihajlovic dovessero duettare sulle note di Io Vagabondo, vi consigliamo chiaramente di cambiare canale.
P.S.: recuperate l’esibizione di Gigi D’Alessio, Enzo Dong e compagnia.
Noi ci sentiamo obbligati a descriverla con le parole di un illustre membro della redazione: “Gigi pare uno sbirro che prova a infilarsi a un rave”.