Do not panic!

Le alluvioni in Trentino e come gestirle

di Giulia Nicoletti

Mercoledì 12 dicembre si è tenuto, presso la sala ristoro del MUSE, l'incontro “Alluvioni: le opere di difesa”. Il terzo ed ultimo appuntamento del ciclo di caffè scientifici "La natura in movimento. Difendiamoci dalle alluvioni" si è svolto in un contesto informale, col fine di stimolare il dibattito tra gli esperti e l'uditorio sul tema delle opere di sistemazione idraulica presenti sul territorio trentino.

L'incontro, orgaizzato nell'ambito del progetto europeo LIFE FRANCA, che vede anche la collaborazione dell'Università di Trento, ha avuto come ospite il dirigente del servizio Bacini Montani della Provincia di Trento Roberto Coali.

Coali ha concentrato l'attenzione del suo intervento sulla realtà trentina, caratterizzata da numerosi torrenti montani e dai corsi d’acqua del fondovalle. Per ridurre i danni causati dagli eventi alluvionali, nel corso dei secoli sono state realizzate numerose opere di sistemazione idraulica, che ancora oggi rappresentano un sistema di prevenzione fondamentale. La gran parte di queste risale all'800, ma ce ne sono di ancora più antiche: questo è indice di come in Trentino, per necessità insediative, si sia sviluppata nel tempo una vera e propria cultura della difesa dall'acqua. Opere di questo tipo, che richiedono attenzione e manutenzione continue, hanno dato vita anche ad una cultura della sistemazione, che nei secoli ha risentito dell'influenza dell'ingegneria italiana, tedesca e francese.

I disastri alluvionali che hanno interessato il Trentino – ha ricordato Caoli – sono essenzialmente due: il primo risale al 1882, il secondo al 1966.

Nel 1882 la grande alluvione si collocava in un periodo critico dal punto di vista delle piogge durato 10 anni. L'attività di ricostruzione che è scaturita in seguito ha interessato tutto il Tirolo meridionale, di cui il Trentino faceva parte, dando vita ad una profonda sistemazione del reticolo idrografico del territorio. Il modello pensato all'epoca è quello che è tutt'ora in uso e che accomuna le province di Trento e Bolzano.

L'alluvione del 1966 ha dato un'ulteriore impulso alla sistemazione delle opere idrauliche ed ha comportato allo stesso tempo un cambio di direzione nel modo di costruire: se prima il materiale prediletto era una miscela di peitrame e malta, da quel momento in poi si è preferito il calcestruzzo. Per di più è da questa data che si comincia a parlare di una pianificazione degli interventi. Nel 1967, un anno dopo il disastro, si tiene la conferenza nazionale dell'Adige, in modo da stabilire come affrontare la sistemazione. Oltre ad un censimento dei danni e delle opere esistenti, si è ideato un piano trentennale di intervento, il piano De Marchi. Mentre nel resto d'Italia il piano è stato solo avviato, le province di Trento e Bolzano sono riuscite ad atturalo quasi completamente. Il piano, rivisto negli anni 70 e alla fine degli anni 80, ha permesso di sviluppare i modelli attuali di gestione dei monitoraggi.

Il catasto delle opere – ha ribadito Coali – è uno strumento di importanza assoluta: attualmente in Trentino ci sono 18 mila briglie (le opere trasversali ai corsi d'acqua, tra cui anche i ponti), che nel tempo hanno visto un'evoluzione sia dal punto di vista dei materiali di costruzione (da materiali più poveri a materiali più raffinati), sia dal punto di vista della gestione degli interventi (dagli interventi più semplici a quelli di bioingegneria). Molte di queste opere non hanno un impatto ambientale elevato, altre sono estremamente ingombranti, tanto che spesso sembrano eccessive nelle dimesioni. È solo nei casi di emergenza, come quello verificatosi lo scorso ottobre, che si apprezza la loro utilità. Per gestire le piene dell'Adige, ad esempio, si è riscorso alle dighe di S. Giustina e di Stramentizzo in moda da incanalare parte dell'acqua e diminuirne la portata. La galleria Adige-Garda si è dimostrata un altro stumento efficace: lunga 10 chilometri e larga 11 mentri, la galleria serve per incanalare le acque del fiume e riversarle nel lago di Garda. Lo scorso ottobre, nel Garda sono confluiti 17 milioni di metri cubi di acqua, portando ad un innalzamento di 5cm del livello del lago.

Coali ha chiuso il suo intervento illustrando l'obiettivo di LIFE FRANCA, che in un certo senso consiste nell'anticipare il futuro: la finalità delle opere infatti non si basa solo sul breve periodo, ma deve essere pensata sul lungo termine, tenendo conto anche dei cambiamenti climatici. Poché in un terriotrio come quello trentino è impossibile garantire una sicurezza totale, risulta necassario imparare a convivere con il rischio di alluvione: conoscere, prevedere, e preparare piani di gestione del pericolo è ciò che serve per evitare una catastrofe.

Si è poi lasciato spazio agli interventi dei partecipanti, che hanno dimostrato interesse soprattutto nell'approfondire i recenti disastri in Trentino.

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