Cultural.Trento | #3 Due punti

Una rubrica per conoscere il territorio e portare conoscenza al territorio stesso

a cura di Veronica Permer
 

Trento è Castello del Buonconsiglio, Muse, Museo Diocesano, ma è anche tanto altro.

In Cultural.Trento andremo alla scoperta di alcuni luoghi culturali e di aggregazione sparsi per la città con una serie di interviste.
Macro e micro si incontrano per far crescere sempre di più ciò che ci circonda.

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Due punti come due porte che saranno aperte a tutti; due punti come gli estremi di un ponte che unisce i diversi, li fa conoscere e confrontare; due punti come il segno dell’apertura di un dialogo, di un’ipotesi di comunità oltre il punto vendita.
 

Scrivevano così, nel loro manifesto del settembre del 2018, Elisa Vettori e Federico Zappini, fondatori di Due punti, libreria-laboratorio indipendente che tra i suoi tanti obiettivi ha quello di vivere e far vivere il suo quartiere. Situata in San Martino, Due punti nasce dall’incontro fortuito di due persone e si espande in uno spazio lungo e stretto con due porte sempre aperte, una che affaccia su via Manzoni, l’altra su San Martino. Un vero e proprio tunnel da attraversare con tanti libri esposti e altri appesi a delle mollette, pronti per essere letti.

Un luogo in cui le tre C sono all’ordine del giorno. Cooperazione, collaborazione e condivisione sottendono a tutte le iniziative che qui vengono promosse: dalle presentazioni, agli incontri, ai laboratori. Due punti indica appunto l’apertura al dialogo, a un discorso che è impossibile fare da soli.

Con lo sguardo rivolto a ciò che succede intorno, Elisa e Federico non si limitano a proporre dei libri adatti alle esigenze dei vari lettori, ma prima di tutto fanno sì che il loro punto vendita sia uno spazio di incontro e confronto tra le persone. Dal loro arrivo quasi tre anni fa, i due librai hanno infatti contribuito a popolare un quartiere semivuoto, in cui le persone passavano perlopiù per cercare parcheggio, e che ora, invece, sono intenzionate a fermarsi. Uno spazio sempre più in fermento che sta crescendo insieme ad altre realtà.

 

 

Da dove nasce l’idea di creare una libreria indipendente? Da cosa siete stati mossi?

/F/ La cosa è nata da una duplice esigenza. Una di provare a mettere insieme alcuni pezzi di lavoro, cose che già facevo e che però dovevano trovare un luogo di atterraggio: presentazione di libri, incontri, una sensibilità molto forte per l’attivazione di comunità, per lo sviluppo di relazioni con contesti diversi della cultura e della socialità. L’altra è nata da una questione molto specifica. Lavoravo a Impact Hub con il sogno di aprire una libreria. Per farlo, però, prima mi sono chiesto se c’era uno spazio, tanto culturale quanto economico-commerciale, che potesse ospitare questa iniziativa. Ho fatto allora un micro-questionario con una ventina di domande, che chiedevano ad amici e a persone sensibili su questi temi se, secondo loro, c’era la necessità a Trento di un’esperienza di questo tipo. Uno spazio per un’attività che fosse allo stesso tempo commerciale, culturale e sociale.
La risposta fu decisamente positiva in termini statistici. Oltre tutto ci fu una risposta un po’ più articolata e corposa che fu quella di Elisa, che vedendo questo questionario disse: perché non proviamo a ragionarci assieme? E da lì la cosa è partita.

/E/ La nascita della Due punti è stata un lavoro di mediazione. Si chiama Due punti, appunto, perché i soci sono due, con modi molto diversi di intendere la libreria e le cose in generale. Il lavoro che si fa è quello di trovare un punto d’incontro o più di uno sulle cose.
Il sogno di Federico era di aprire una libreria a Marsiglia e il mio di aprirla da vecchia. Mi immaginavo ottantenne con una libreria stracolma di libri, possibilmente classici, perché ne sono una grande lettrice e amante. Invece, nella mediazione tra questi due sogni che evidentemente si sono chiamati in partenza, abbiamo aperto subito la libreria, perché così è stato il decorso delle cose, con narrativa contemporanea e saggistica che non mi sarei mai immaginata. È proprio una questione di mediazione e di relazione, anche rispetto alle persone che vengono qui.

 

Le vostre sedioline bianche in quasi tre anni hanno ospitato tanti lettori, pronti ad ascoltare e a interagire con voi e i vostri autori e autrici. Come avviene la scelta di queste presentazioni e prima ancora dei libri e delle case editrici?

/E/ Quando siamo partiti abbiamo fatto un’analisi delle librerie che erano già presenti in città. Per il numero di abitanti c’erano una gran quantità di punti dove poter acquistare libri rispetto ad altre città italiane. L’unica cosa che mancava era una libreria indipendente.
Ci siamo concentrati su quelle che in realtà erano le nostre scelte di lettura personali e quindi su una serie di case editrici indipendenti con le quali abbiamo un rapporto diretto. Questo vuol dire che per noi ogni editor ha un nome. Dopo un po’ che li conosciamo, ci affidiamo al loro giudizio rispetto a quello che sta uscendo. Ce lo raccontano, ci fanno avere le copie in anticipo, in modo da poterle leggere e renderci conto se il libro in uscita sia già forte. Su queste si forma la struttura degli incontri.
Federico, poi, è molto attento a tutte le uscite editoriali che ci sono, dalla Lettura a Robinson, che abbiamo qui in libreria e che riutilizziamo come carta regalo. Io mi concentro di più sui libri che mi hanno colpita particolarmente e di cui mi piacerebbe parlare. L’ultimo è stato Lingua Madre di Maddalena Fingerle.

/F/ Più o meno la prima cosa che faccio la mattina e l’ultima che faccio la sera è controllare le uscite editoriali ogni giorno, sia nei giorni di lavoro che in quelli di vacanza. Le uscite sono tantissime, però un modo per starci dietro è quello che diceva Elisa: un continuo rapporto con le case editrici, in questo caso quelle indipendenti, che fanno un bellissimo lavoro di anticipazione e di consiglio. Dall’altra parte, invece, l’altro strumento è la curiosità: spulciare catalogo per catalogo, uscita per uscita, sblocco editoriale per sblocco editoriale, per avere chiaro ciò che passa e avere poco per volta la capacità di fare quel lavoro che, in una libreria di 70 metri quadri, è di fatto scelta titolo per titolo. Da questo deriva poi la questione sulle presentazioni: quello di pensare che ogni libro che si presenta dialoghi con la realtà e la sappia interpretare, abbia un suo grado di utilità.
Prima di tutto c’è la consapevolezza di un ruolo della libreria, della comunità che ci sta attorno, dell’essere animatori e creatori di questo.

 

 

I libri devono muoversi. Di mano in mano. Di luogo in luogo. Scrivevate così sulla vostra pagina Facebook il 31 luglio. Cosa significa essere anche una libreria itinerante? 

/E/ L’idea di andare fuori dallo spazio di 70 metri quadri, che sono la Due punti, è nata con l’idea stessa di libreria. I primi mesi nei quali abbiamo scritto questa specie di piccolo manifesto, dove mettevamo in ordine, limavamo le cose legate alla visione di quella che sarebbe stata una libreria da fare e costruire insieme, Federico ha acquistato una cargo bike. Un oggetto, anche piuttosto ingombrante, che serviva per stare all’esterno. Non era un’insegna posticcia, ma un oggetto da usare.
L’oggetto fisico della cargo bike rappresenta il desiderio di non rimanere chiusi qui dentro, ma di andare oltre la propria zona di comfort, che è la libreria, per cercare qualcosa di nuovo. In questo senso la scelta di fare le presentazioni in strada sta dentro questo discorso. L’idea di mettere fuori le seggioline bianche si collega alla speranza di poter intercettare qualcuno, anche chi passa di lì per caso, oltre a chi si è segnato in agenda la data delle presentazioni e degli incontri.

/F/ Secondo me c’è un ruolo politico di costruzione di un ecosistema. Il ruolo politico di una libreria è proprio di continuare a vivere nell’ibridazione, nell’incontro, nella contaminazione con altri. Questo non lo si può fare se non uscendo dai propri confini. Non è la prima cosa che verrebbe da fare, soprattutto in un momento così difficile come è stato quest’anno e mezzo, ma credo che la sfida contraddittoria sia di mettersi a diposizione, anche se non è facile.
A fronte di quest’anno mi aspetto che a settembre – me lo chiedo tutti gli anni, me lo pongo come obiettivo – si sia in grado di dialogare fra i tanti che hanno organizzato eventi, per provare a immaginare il modo per far sì che quei luoghi dello spazio pubblico siano vissuti collettivamente e progettati assieme. Questa è la sfida e il compito che ci diamo ambiziosamente: fare assieme, collaborare, cooperare. Io non credo ci siano altri modi. È lo strumento principe per far diventare le città migliori, le comunità più vive.

 

Quanto è importante per voi la necessità di far crescere sempre di più questo ecosistema sociale/culturale e cosa vi augurate per il futuro?

/F/ La cosa che mi piacerebbe tantissimo, a fronte delle tante energie che ci sono (OltrEconomia Festival, Poplar, Sputnik), è quella di creare sempre di più delle connessioni tra queste realtà, che possano diventare quelle che effettivamente dal basso fanno sì che questo ecosistema sia vero e concreto. Sono delle energie vitali, che non possiamo disperdere e far procedere separatamente l’une dalle altre.
Un mio sogno è che ci sia sempre di più questa rete forte tra soggetti e che la città si scopra davvero ecosistema in ogni sua parte, sia in quelle più centrali che in quelle più periferiche, capaci di ospitare e dall’altra parte anche di inventarsi le cose. Questo è un auspicio grande, perché è l’unico modo per far sì che le parti piccole come la nostra non solo sopravvivano, ma poco per volta siano ancora più riconosciute e tranquille sia nel loro sviluppo commerciale sia nel proprio contributo alla crescita, al miglioramento e al rafforzamento delle reti comunitarie.

/E/ Il sogno che potrei augurarmi, oltre a quello di aver aperto uno spazio in un posto dove sono un po’ capitata, è vivere in una città dove mi piacerebbe proprio stare. Provare a creare degli eventi, delle relazioni tra le persone che abbiamo intorno, quelle che sono il mio ideale di comunità, contenti di andare a lavorare la mattina.
Uno dei consigli che ci ha detto per primo un libraio di Milano quando dovevamo aprire e abbiamo fatto il giro di alcune librerie che ci piacevano è stato appunto questo: per poter aiutare ed essere dentro la comunità, dovete essere tranquilli e contenti di andare a lavorare. Sapere che il vostro lavoro vi rende e che siate sereni di potere fare ancora di più.

 

 

Grazie a Elisa e Federico per essere stati con noi!
 

Due punti si trova in via San Martino 78Le due porte sono aperte:

 – dal martedì al sabato dalle 10:00 alle 20:00

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