Referendum Costituzionale in 5 step: pt. 1

di Marta Pilotto e Lorenza Giordani

Il primo step del nostro viaggio tra i meandri della riforma costituzionale Renzi-Boschi ha un punto di partenza obbligato: il superamento del bicameralismo perfetto.

Dal 1948, infatti, l'assetto istituzionale del nostro paese è caratterizzato da un Parlamento bicamerale, i cui due rami sono entrambi elettivi e dotati dei medesimi poteri.

Bicameralismo perfetto vuol dire, in particolare, che per poter emanare una legge, sia ordinaria che costituzionale, il testo della stessa ed ogni sua eventuale modifica devono essere approvati sia dal Senato che dalla Camera dei deputati.

 

Come dicevamo, la più grande novità introdotta dalla riforma è il superamento di tale sistema, che viene attuato mediante un incisivo ridimensionamento del ruolo del Senato della Repubblica.

I rami del Parlamento, dunque, rimangono due, ma le loro funzioni vengono diversificate in favore della Camera: il nuovo Senato non potrà più sfiduciare il Governo e avrà poteri molto limitati nel procedimento legislativo.

Solo in alcune specifiche materie – come l'approvazione di leggi riguardano i rapporti tra Stato, Regioni ed enti pubblici, l’Unione europea, la Costituzione, i referendum, il bilancio e in generale la pubblica amministrazione – viene mantenuto il bicameralismo perfetto.

Negli altri ambiti viene istaurato un sistema detto di bicameralismo imperfetto o procedimento monocamerale rafforzato.

Su richiesta di un terzo dei senatori ed entro dieci giorni, il Senato potrà, infatti, proporre modifiche alle leggi in discussione alla Camera. Tali proposte di modifica potranno, però, essere solo approvate o respinte dai deputati, senza la cd. navetta tra i due rami del Parlamento che caratterizza il sistema attuale.

Anche i poteri propositivi della Camera alta risultano attenuati dalla riforma: il Senato potrà chiedere alla Camera di legiferare su alcune materie, ma solo se ad avanzare la proposta sarà la maggioranza assoluta dei senatori.

 

L'altra grande innovazione relativa al procedimento legislativo è il cosiddetto voto a data certa.

La riforma introduce, infatti, dei criteri per avere tempi certi di approvazione delle leggi.

In particolare, se il Governo ritiene che un disegno di legge sia "essenziale per l’attuazione del programma" può chiedere alla Camera una via preferenziale per la sua discussione.

Se la Camera accetta tale richiesta, ha 70 giorni per votarlo in maniera definitiva; parallelamente sono dimezzati i giorni a disposizione del Senato per proporre modifiche.

Il procedimento a tempi certi è, tuttavia, escluso per materie di competenza di entrambe le camere o per quelle coperte da riserva di legge rafforzata.

 

Le ragioni del Sì: grazie al superamento del bicameralismo perfetto, il Parlamento diventerà più efficiente e rapido nell'approvazione delle leggi.

Inoltre, privando il Senato del voto di fiducia, si assicurerà maggior stabilità al Governo.

 

Le ragioni del No: non è il bicameralismo in sé il problema, ma il contesto politico e la qualità e quantità delle leggi che vengono approvate dal Parlamento.

Il bicameralismo imperfetto, così come previsto dalla riforma, non comporta una semplificazione del procedimento legislativo, ma la creazione di dieci tipologie diverse di procedimenti, definiti in maniera imprecisa, con possibile proliferare di conflitti fra Stato e regioni e tra le due Camere.

Inoltre, concedendo solo alla Camera il voto di fiducia, si elimina il controllo del Senato sul Governo senza introdurre altri contrappesi democratici al potere esecutivo.