L’ateneo dei racconti: la finale

L'appuntamento con i primi cinque finalisti si terrà martedì 2 aprile presso il teatro Sanbàpolis

di Giulia Leccese

Per approdare nel vocabolario moderno, il termine “racconto” ha percorso un viaggio etimologico a dir poco rocambolesco: le sue radici affondano nell’humus del verbo latino “computare”, ovvero “contare”. Per quanto possa sembrare che queste due azioni non abbiano nulla in comune, il loro legame è in realtà profondo ed affascinante: il racconto, infatti, conserva l'idea di un comunicare, un riportare calcolato, attraverso una struttura ordinata e credibile, la strettissima relazione tra un vissuto ed il proprio protagonista.

L’atto del raccontare riporta ad ancestrali circostanze conviviali: durante i simposi, distesi sui triclini drappati di rosso, gli aristocratici ateniesi mangiano e bevono, ascoltando il dolce canto del rapsodo; nelle piazze delle polis un vagabondo urla ai passanti le sue incredibili avventure, per qualche moneta d’argento. Immaginiamo che tra gli spettatori di queste scene di condivisione orale, vi capiti per caso un Eschilo, un Euripide oppure un Sofocle, che si fermi ad ascoltare e che successivamente rielabori i racconti assurdi appena ascoltati, li colleghi tra loro, li adatti al proprio linguaggio e al proprio palcoscenico.

È più o meno ciò che è successo in questi giorni all’interno dell’annuale appuntamento con il concorso letterario l’Ateneo dei racconti, che avrà la sua conclusione con le due serate del 2 e del 9 aprile. Per l’occasione, il Teatro Sanbàpolis si sta preparando a diventare la piazza di una città dei racconti: dieci sono i finalisti che sono stati selezionati per mettere in scena la loro storia.

Chiacchierando con alcuni di loro, sono emerse le peculiarità proprie al genere del racconto, a volte sottostimato rispetto al colosso del romanzo. In realtà, come ci racconta Marco, studente di Ingegneria, “in un romanzo il lettore è predisposto a dare fiducia allo scrittore, mentre il racconto deve colpire subito, deve agitare le braccia e convincere chi lo sta leggendo che vale la pena di finirlo”.  Si ritrova, in queste parole, l’approccio delle Lezioni americane di Italo Calvino, nelle quali l’autore spiega come i racconti nascano dalla nitidezza delle immagini, che già implicitamente posseggono potenzialità comunicative.

È una trasformazione, quella dall’immagine al racconto, che “sa di sacralità, di sacrificio”. Ce lo descrive così un’altra finalista del 2 aprile, Angela, studentessa di Scienze Cognitive, secondo la quale “quella sacralità deriva dal mettere a nudo un vissuto e portarlo fuori da sé per renderlo il più universale e condivisibile possibile”.

Questa ritualità si esprime anche dalla sua brevità, quasi come una porta socchiusa a capolino su un mondo nuovo. Per Fabio, studente di Lingue Moderne, esistono “storie estremamente complicate che possono stare in una riga, storie estremamente semplici in un libro intero: un racconto si trova nel mezzo.  Un racconto sa anche molto di una storia narrata a voce, di qualcosa di riportato attorno ad un fuoco o prima di dormire, a memoria.”

Ed ecco che affiora un altro aspetto fondamentale del racconto: la condivisione, scaturita da un rapporto sinergico tra l’autore ed il fruitore. La letteratura narrativa, sotto questo aspetto, ha molto da spartire con l’arte teatrale: non esiste un consumatore passivo, tantomeno un “distributore di storie”. Così continua a spiegarci Angela: “Per me il racconto è una relazione: una ragnatela sottile che collega noi tutti, fili da percorrere con la curiosità di bambini, per riscoprirsi simili”.

Certo è che l’adattamento dal linguaggio letterario a quello teatrale, è un passo ampio e difficile, come afferma Fabio, in quanto spettacolo e racconto “hanno in comune l’idea di drama: di una situazione che sviluppi tension e resolution. È proprio per questo che non ero preparato a vedere il mio racconto a teatro: non c’è interazione fra personaggi, ma solo all’interno di loro stessi”.

Per concludere questo breve scorcio sul mondo del racconto, condividiamo un’altra riflessione di Marco, una sorta di mantra che adotteremo come invito alla messa in scena dei racconti finalisti, ma soprattutto all’approfondimento di questo genere letterario poco frequentato: “Ci sono periodi in cui scrivo e periodi in cui non scrivo, questi ultimi sono quasi più importanti dei primi. Prima di scrivere ci vuole un periodo di tempo in cui la storia e i personaggi si siano depositati nella testa. Solo a quel punto ha senso iniziare a scrivere”.

Questi ragazzi, con le loro storie, vi aspettano martedì 2 aprile, presso il Teatro Sanbàpolis.

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