La Corea del Sud sbarca a Hollywood

di Giacomo Ferri

 

Da sempre, chi abita questa fetta di mondo vive la Notte degli Oscar come un evento che sfiora l’epica: mente e corpo sono spinti al limite, frustati dalla stanchezza causata dalle pochissime ore di sonno. È una guerra di resistenza. Dura e sporca.

C’è chi prova a ingannare il proprio fisico (nanna alle undici e sveglia alle due: chi scrive è tra questi), ma il mattino dopo le occhiaie, il mal di testa lancinante e la costante sensazione di vago stordimento svelano l’inconsistenza di queste tristi strategie.

Tutto passa – o, meglio, è messo in secondo piano – se la Notte degli Oscar è divertente e ricca di sorprese.

Ora, l’edizione numero 92 dei premi Oscar è stata avara di risate (non è una novità: i presentatori sono sempre troppo troppo ingessati), ma ci ha riservato un paio di sorprese.

La prima – e principale – porta il nome del coreano Bong Joon-ho. Infatti, il regista coreano ha inaspettatamente cannibalizzato la serata, portandosi a casa ben quattro statuette: miglior sceneggiatura originale, miglior film internazionale, miglior regia e, soprattutto, miglior film.

Perché sorprende la vittoria di Bong Joon-ho? Per due motivi. Primo, perché meritava effettivamente di vincere (Parasite è a mani basse il miglior film del 2019) e non è scontato che questo accada, come dimostrano quasi tutte le edizioni degli Oscar tenutesi nel decennio appena trascorso. Secondo, perché è il primo film non anglofono a vincere la statuetta come miglior film. Un segno di apertura e inclusione molto deciso da parte di una comunità – quella hollywoodiana – che è spesso stata (e, a volte, ancora è) impermeabile all’altro.

La seconda novità riguarda la sceneggiatura non originale, di cui s’è fatto tanto parlare nelle ultime settimane. La lotta sembrava potersi ridurre a due soli contendenti, cioè Greta Gerwig per Piccole donne e Steven Zaillian per The Irishman. Invece, ha vinto Taika Waititi, con Jojo Rabbit. Anche in questo caso, la vittoria è inaspettata, ma non immeritata: la satira del Terzo Reich brilla soprattutto per la sua originalità e per il modo in cui è raccontata. Last but not least, l’Academy decide di aggiornare i propri annali anche per questa categoria: quello consegnato a Taika Waititi è infatti il primo Oscar vinto da un indigeno neozelandese.

Nessuna sorpresa, invece, tra le altre categorie principali. Penso, soprattutto, agli attori e alle attrici. Le vittorie di Joaquin Phoenix (miglior attore protagonista per Joker), Renée Zellweger (migliore attrice protagonista per Judy), Brad Pitt (miglior attore non protagonista per C’era una volta a… Hollywood) e Laura Dern (migliore attrice non protagonista per Storia di un matrimonio) erano ampiamente pronosticabili e, ormai, date quasi per scontate. 

Ora, se permettete, vado a dormire.