Intervista a Wu Ming 4

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Intervista a Wu Ming 4
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di Giacomo Ferri

 

Ieri pomeriggio, al Dipartimento di Sociologia, Wu Ming 4 (romanziere, saggista e membro del collettivo Wu Ming) ha presentato il suo ultimo libro dedicato all’opera di Tolkien, Il fabbro di Oxford (Eterea, 2019). Abbiamo avuto la possibilità di scambiare due parole con lui, prima della presentazione.

Come si è avvicinato a Tolkien? 

Sono stato un lettore di Tolkien nell'adolescenza e poi l'ho riscoperto in età adulta quando ero già approdato alla scrittura come mestiere. È sempre utile rileggere, in momenti diversi della vita, la letteratura che c'è piaciuta: si trovano cose nuove. Io ho trovato una affinità tra il modo “wu-mingiano” di interpretare la letteratura e quello tolkieniano. Trovo che la capacità di Tolkien di costruire un mondo e di dettagliarlo sia una grande lezione per gli scrittori di qualsiasi genere.

Come mai, nelle università italiane, Tolkien è ancora così poco studiato?  

Credo ci sia un elemento che abbia penalizzato Tolkien in Italia: l’averlo scambiato per un autore fantasy in senso deteriore, come se fosse una patente negativa. Come se una letteratura immaginaria come quella di Tolkien non potesse essere presa sul serio. C’è poi anche una ragione di carattere editoriale: Tolkien è stato tradotto tardi in Italia perché si credeva che la sua creazione fantastica – legata al mondo germanico e britannico – non potesse essere compresa.

Crede che questa “patente negativa” sia dovuta solamente alla cattiva lettura di Tolkien o pensa che il mondo tolkieniano collaterale (come i film di Peter Jackson) abbia influito?

Paradossalmente, credo che quei film abbiano fatto bene agli studi tolkieniani. Letteratura popolare e letteratura colta sono molto più interconnesse di quanto si possa immaginare. Dall’arrivo dei film nelle sale, c'è stata un’evidente rinascita di interesse verso Tolkien, e a vari livelli, sia sul piano dell'immaginario pop (giochi di ruolo, videogame, cosplaying), sia su quello della rilettura dell'opera. Ad esempio, è capitato spesso in questi anni di imbattersi in tesi di laurea su Tolkien. Non so quanto questo avvenisse prima dei film.

Nei due libri che ha scritto su Tolkien (Difendere la terra di mezzo e Il fabbro di Oxford) lei smantella alcune letture ideologiche dell’opera di Tolkien. C’è ancora il pericolo di interpretazioni di questo tipo?

Questo è sempre possibile, rispetto a qualunque opera, specie se complessa. In realtà, non credo si debba lamentare troppo questa cosa. Bisogna solo capire se interessano letture ideologicamente orientate o, piuttosto, se si cerca di capire se esiste un livello di profondità maggiore in un’opera rispetto al manifesto ideologico. Questo è uno dei filoni che l’AIST cerca di percorrere: affrontare di petto l'opera narrativa nella sua complessità, senza cercare conferme di idee preconcette. L’opera di Tolkien è un’opera molto complessa e ci sono diversi “entry points”: si può scegliere di dare una lettura filosofica o teologica. Da romanziere, io tendo ad avere un approccio letterario: mi piace molto indagare il modo in cui Tolkien risolveva i problemi narrativi o di costruzione di un personaggio… Credo che questo sia l’antidoto migliore alle letture ideologiche. 

Apprezza il mondo collaterale tolkieniano (videogiochi, cosplaying, film)?

È un dato di fatto che l'universo letterario di Tolkien sia entrato nell'immaginario collettivo soprattutto grazie ai film. Credo che questo non vada guardato con snobismo. Uno studioso americano – Henry Jenkins – parla di “cultura convergente”, un intreccio tra cultura alta e cultura bassa. È sempre stato così ed è giusto che sia così. Quindi non ha senso considerare questi fenomeni come “subculturali”, ma sono parte di una cultura partecipativa. Il fandom è una cultura partecipativa in cui le persone proseguono il racconto letterario o cinematografico con i propri mezzi. È un modo attivo di rapportarsi alle storie.

Una delle persone che più ha messo mano all’opera di Tolkien è stato il figlio Christopher. Lei cosa pensa del suo lavoro editoriale? 

Non si potrà mai ringraziare abbastanza Christopher, che ha dedicato la seconda parte della sua vita a curare gli scritti del padre. C'è però un rovescio della medaglia e cioè il fatto che il “secondo Tolkien”, quello postumo, porta il marchio di Christopher Tolkien e delle sue scelte, sia di ordine filologico, sia di ordine tempistico. Le ultime novità tolkieniane ci hanno raccontato un Tolkien giovanile, che si occupava di cose che a malapena sospettavamo fino a una decina di anni fa. In realtà Tolkien sono due autori in uno, padre e figlio. C'è sempre la stessa firma, ma il lavoro di un editor e di un filologo è lavoro autoriale. Christopher si è talmente sintonizzato sulla lunghezza d'onda del padre che può essere considerato un co-autore a tutti gli effetti.

 

(Qui sotto potete trovare l'audio integrale dell'intervista.)