Il pubblico della poesia#7: I Mitilanti I

Una riflessione collettiva. Settima puntata (prima parte)

Adriano Cataldo

 

La poesia fa male

Nanni Balestrini

 
 

Per costruire questa piccola rubrica ci siamo posti una domanda: quali sono i confini della poesia?

In un mondo in cui il richiamo ai confini è spesso connotato all’esclusione, proponiamo all’opposto un ragionamento volto a ciò che possa accomunare le diverse realtà che operano nell’universo poetico italiano.

Non è nostro obiettivo stabilire una definizione di poesia, vogliamo invece parlare del suo pubblico. Il punto di partenza è un testo molto famoso del poeta Nanni Balestrini. In questo testo viene evidenziata l’esistenza di un “patto” tra chi fa poesia e chi ne fruisce. In questa prospettiva, risulta di fondamentale importanza capire i meccanismi di questa relazione pubblico-poeta, perché può dire molto sul fare poesia.

Come altre forme d’arte, l’universo poetico vive a nostro avviso una forte lacerazione.

Da un lato, si vede un’apertura molto forte al fare poesia, veicolata parzialmente dai nuovi media. Un’apertura orizzontale, che risponde alle necessità che hanno gli individui di esprimersi e di trovare parole per comprendere il proprio tempo. Un’urgenza che spesso non tiene conto della qualità del testo poetico.

Dall’altro lato, esiste un forte richiamo alla qualità del testo poetico, un’apertura verticale, che secondo alcuni dovrebbe rappresentare il confine per stabilire cosa sia davvero la poesia, per distinguerla dalla scrittura non-poetica, oppure da quella di poco pregio.

In base ai due diversi gradi di apertura, si possono identificare dal nostro punto di vista due tipi di poesia: una popolare e una laureata. Si tratta di due categorie analitiche, esemplificative, che servono per orientarsi, ma che nella realtà sono più sfumate.

Partendo da questo scenario, intervisteremo diversi esponenti del mondo poetico (poeti e poetesse, organizzatori e organizzatrici di eventi, critici e critiche) e ragioneremo sulle possibili differenze tra poesia popolare e poesia laureata.

Dopo Christian Sinicco, il nostro settimo ospite è per la prima volta un collettivo, I Mitilanti. Nati nell’agosto del 2015, per dare la possibilità, a un pubblico non specialista, di coltivare l’amore per la poesia. Si distinguono per la produzione di numerosi eventi dove la poesia è presente nella sua forma orale. Tra le altre cose organizzano il Senti Che Muscoli SP!, torneo di poetry slam tra i più apprezzati d'Italia e Palamiti, rassegna di poesia performativa. Da maggio 2017 promuovono la Palestra di scrittura creativa e riordino mentale alla quale sono collegate attività seminariali che hanno coinvolto figure affermate del panorama letterario italiano come Walter Siti e Giulio Mozzi. Tra le loro produzioni si segnalano: la raccolta Mitilanti Vol.01, con introduzione di Lello Voce e le illustrazioni di Elena della Rocca e l'EP di poesie e musica Casa Dentro, realizzato con Michele Mascis. Sono autori ed interpreti dello spettacolo di poesia e musica Poeta non è un lavoro, con il polistrumentista Manuel Picciolo e della performance poetica Poetry Call, documentata in un video elaborato in collaborazione col fotografo Nicolò Puppo.

(nella foto I Mitilanti, da sinistra: Andrea Fabiani, Andrea Bonomi, Filippo Lubrano, Francesco Terzago, Alfonso Pierro)

Ci saranno altre due puntate con loro, che abbiamo scelto per la loro capacità di creare linguaggi innovativi e coinvolgenti, come vedremo alla fine di questo post. In questa puntata conosceremo Andrea Bonomi e Alfonso Pierro.

Andrea Bonomi si è esibito in alcuni festival (Babel, Boss, Buk, Goa Boa, Parallelamente). Collabora con gli istituti di pena di Lucca e della Spezia lavorando con i detenuti alla realizzazione di un musical (Quando il dolore crea valore) e un mediometraggio (Senza porte né finestre, vincitore della rassegna “Fotogrammi dal carcere” alla XXII edizione del Marano Ragazzi Spot Festival). Partecipa alle finali nazionali L.I.P.S. di Monza 2017 e Ragusa 2019. Vincitore di Sinestetica 2020 con la videopoesia L’ultima volta che ho pensato al futuro, in coppia con Filippo Lubrano, autore del testo.

Alfonso Pierro, nasce a Biella nel 1983. Pedagogista, poeta, performer. Dal 2003 ha vissuto, lavorato e studiato in diverse città italiane ed europee. Ha pubblicato Svendendo Altrove il Bacio Bugiardo. Poesie (2008) e John Fante: uno scrittore maledettamente ironico (2012), oltre ad aver partecipato a raccolte e riviste nazionali di editoria indipendente. Dal 2008 è un esponente della poesia di strada italiana con il progetto unlitro. Svolge attività privata come pedagogista clinico e consulente pedagogico; è responsabile d’area nella provincia della Spezia per ANPEC, associazione nazionale pedagogisti clinici.

 

Cosa spiega il successo della poesia popolare, in termini di vendite e copertura mediatica, nonostante la scarsa qualità dei testi?

ANDREA BONOMI: Premessa: la poesia è una categoria ampiamente minoritaria nel nostro Paese e rappresenta solo il 6% del totale dei libri pubblicati. Tornando alla tua domanda, non credo che il termine popolare sia efficace. Di "dialettanti" che hanno copertura mediatica non ce ne sono e nelle classifiche di vendita non compaiono poeti che usano il dialetto come voce letteraria per scelta, per descrivere il proletariato e il mondo operaio.

Non compare nemmeno chi, ispirato da una rinnovata esigenza di poesia, si esprime con una funzione sociale – e spesso di arricchimento, in spazi popolari e di ritrovo.

Se parliamo di poesia social – che non è sociale, e di instapoets si tratta di un fenomeno di massa che ha successo e popolarità perché legato al ruolo di assoluto protagonismo dei social network nella realtà delle persone. Le grandi case editrici fiutano, ne approfittano, creano personaggi, pubblicano, vendono – di frequente un prodotto di consumo, e fanno cassa.

ALFONSO PIERRO: Alla poesia popolare preferisco e pratico la poesia pubblica che mi riporta sempre ad un processo di lotta, di ricerca, di sperimentazione, anche per strada; la distinzione tra pubblico e autore che alcuni vedono e alimentano, mi annoia – anche perché non sento efficacia e utilità nella creazione di opere pensate per piacere, cioè con l’unico fine di essere godute – e offende il pubblico stesso; lo strumento poesia, che oggi ha la possibilità di esprimersi in forme e contenuti eterogenei, non deve creare schiavi, grosso rischio per chi legge o ascolta o comunque partecipa, la poesia cerca la collaborazione delle persone, come una specie di contenuto. Il successo mediatico della poesia, provando a rispondere alla tua domanda, può quindi produrre servilismo, e il servo normalmente si trova in uno stato di impotenza che solitamente conduce a prepotenza, ira e purtroppo, accidia. La poesia deve stimolare, aiutare il pubblico ad essere (e quindi a fare) e non deve invece fare (e quindi essere) al posto del pubblico, se questa distinzione possiede ancora del valore.   

Esiste qualche esempio di buona poesia capace di raggiungere un pubblico più ampio?

ANDREA BONOMI: Si dovrebbero creare con frequenza le condizioni opportune perché questo risultato accada con continuità. Ci vorrebbe più poesia nelle scuole. All'interno dei quotidiani. Un maggior numero d'incontri di condivisione, scambio di testi e libri. Supportare, sostenere e spingere fanzine. E ancora: più rassegne, festival, spettacoli, seminari, reading, video. Per musica e cinema questo è più facile perché godono di una maggiore possibilità di fruizione da parte di tutti.

ALFONSO PIERRO: Mi preoccupa il termine ‘buona’, metto momentaneamente a margine il discorso poesia: credo da tempo che sostare nella dualità divisoria imposta dalla sfera del giudizio sia qualcosa fuori dai miei propositi. Faccio un esempio, partecipare alla Pietà vaticana di Michelangelo Buonarroti o alla Comedian di Maurizio Cattelan apre sensazioni indiscutibilmente diverse ma ad un altro livello mi suscita l’avvicinamento spontaneo alla richiesta delle opere di essere state create, quindi alla loro necessità – che poi diventa quella del possibile pubblico, di esistere. Contate però che personalmente intendo la poesia, provo a tornare sul pezzo, come un mezzo e non come un fine e soprattutto non la vedo combaciare solo con l’espressione scrittoria che mi pare sia argomento specifico di questa domanda. Inoltre trovo sia più prezioso concentrarsi sulla qualità in modo che la quantità ne sia grata e quindi equilibrata. Dico questo perché non capisco cosa voglia dire ‘pubblico più ampio’. Sarebbe questo l’obiettivo da raggiungere? Parlerei di poesia vera, se dobbiamo ottusamente ragionare in termini di profitto e perdita, piuttosto che di poesia buona: la vera poesia forse non arriva ad un pubblico vasto, arriva, punto. Quando ne fai esperienza senti che fa parte del mondo da sempre e che la tua vita in qualche modo ne esce mutata. E questo credo sia buono, questo sì. Del resto se sostituiamo nella tua domanda il termine ‘buona’ con il termine ‘vera’ potremmo farci una gran bella risata! Voglio dire che la poesia falsa non esiste, altrimenti sosterremmo che corrisponda alla poesia brutta. Che ridere.

La "poesia laureata" può avere un impatto sociale?

ANDREA BONOMI: Gli intellettuali, per avere un impatto sociale, avrebbero dovuto lavorare incessantemente e in piena libertà per elevare più strati popolari possibili, soprattutto nella seconda metà del Novecento.

Oggi dovrebbero riunire intorno a sé tutte le forze che hanno coscienza dell'interesse generale della poesia. Se qualcuno ambisce a questa responsabilità non può fare parte di una piccola e ristretta associazione.
Inoltre, non dovrebbero avere riluttanza nel riconoscere valori in ambienti che non frequentano a prescindere. Ci sarebbe, poi, l'importanza di essere a contatto con i problemi del Paese.
Occorre che cerchino, sperimentino, siano disponibili e affascinati e non ragionino in termini di schieramenti e formazioni.

ALFONSO PIERRO: Sono nato nel 1983, in Italia; hanno rimpinzato la mia generazione con informazioni zombie, morteviventi, ridicole, vuote (“studia che trovi un bel lavoro”, etc), producendo in me – non mi permetto di allargare al noi – una sorta di scissione identitaria: una catena montuosa di sacrifici (le mie sono origini umili) per poi ricevere sonori schiaffoni al posto dei riscontri che ingenuamente aspettavo. Questo per dirti quanto possa contare il termine ‘laureato’ nella mia scala di valori. Il saggio, quando parla al popolo, usa il linguaggio del popolo. E questo non ha nulla a che vedere con produzione di qualità o messaggi migliori di altri. Ciò che impatta, il piano materico lo evidenzia costantemente, raramente coinvolge una crescita effettiva. Mi sembra che qui si voglia dare un’accezione positiva a qualcosa di socialmente impattante, la poesia laureata! – e che cos’è? se non capiamo che ogni nostro pensiero, ogni nostra azione rilasciano spore tutto intorno per anni e chilometri invece che concentrarsi su un unico elemento, diventa difficile incontrare la poesia, creare delle parole (simboli) per tutti, così da riportare l’essere umano dentro alla vita. La mentalizzazione della realtà, la vanità del sapere non servono a questo mondo, piuttosto degli esempi, autentici.  

***

Nelle parole di Bonomi e Pierro l’attività artistica è delineata come intrinsecamente legata alla dimensione pubblica, all’esistenza di una comunità che per essere poetica deve essere autopoietica. Pierro descrive al meglio questa dimensione quando dice che la poesia cerca “la collaborazione delle persone”. In tal senso, la poesia si costruisce attraverso la pratica pubblica, la sperimentazione di nuove modalità diffusive. Queste ultime possono richiedere di andare oltre il testo scritto, che sia su carta o su supporto digitale, per raggiungere un ampio numero di persone.

L’attività dei Mitilanti è pienamente coerente con questa prospettiva.

Tra le diverse iniziative da loro proposte, abbiamo selezionato il Poetry call. Questo esperimento di diffusione di poesia, partendo da una situazione molto comune della vita quotidiana, ha proposto un doppio sovvertimento.

Da un lato, ha sovvertito l’idea del call center, in quanto questo non risulta più finalizzato alla vendita di un prodotto o alla fornitura di informazioni. La telefonata diventa pertanto foriera di un messaggio più coinvolgente di una proposta di un prodotto; è finalizzato a un godimento profondo, seppur temporaneo; è spersonalizzato e intimo allo stesso tempo.

Dall’altro lato, ha proposto un sovvertimento del reading poetico, perché è il pubblico a essere messo in posizione determinante in quanto l’avvenimento della lettura è vincolata all’accettazione di chi ascolta. Senza l’adesione del ricevente, non esisterebbe.

In tale prospettiva, la poesia è adesione, è mezzo per la costruzione di una comunità basata sulla reciproca riconoscenza tra pubblico e poeta. La riconoscenza ha in questo contesto una doppia accezione, è intesa sia come il conferire a qualcuno un ruolo, sia come il ringraziare qualcuno per aver dato qualcosa all’altro.

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