I trentini a teatro: Opera buffa (almeno per me)

Resoconto poco obiettivo di quanto accaduto ieri sera, domenica 18 novembre, in occasione dello spettacolo di Simona Atzori al Centro Culturale Santa Chiara. 

Stando a quello che urlava la signora inviperita di fronte alla biglietteria, stamattina tutti i giornali trentini grideranno allo scandalo. E non c'è alcun dubbio che sarà proprio così: quello di ieri sera è stato uno spettacolo quantomeno insolito.

Prima, un breve premessa. Chi scrive non è trentina e, molto amichevolmente e dal profondo del cuore, odia i trentini per quella loro mancanza di passionalità, che lascia posto invece alla rigidezza irremovibile, al rispetto assoluto delle regole, all'apprezzamento composto per il rigore.

Un'immagine confermata subito, appena arrivata ieri sera allo spettacolo di Simona Atzori, famosa ballerina e pittrice milanese nata senza le braccia. Mentre, alle 19.30, camminavo verso il Centro Culturale Santa Chiara, dove si sarebbe tenuta l'esibizione, ho ricevuto la telefonata di un amico che aveva già desistito: una lunga coda di persone aveva scoraggiato molti, lui compreso. Ma io non mi sono arresa.

Quando sono arrivata, in effetti, il colpo d'occhio era notevole: circa un migliaio di persone, in ordinatissima fila, aspettavano composte nell'aria gelata di fine novembre dall'ingresso del giardino in via Santa Croce, passando accanto alla palestra e fino all'entrata del teatro. Nessuno scavalcava, nessuno batteva i piedi impaziente. Persino chi si avvicinava all'ingresso per cercare di sbirciare all'interno poi tornava indietro e riguadagnava in silenzio il suo posto nella coda. La fila è avanzata ad un ritmo più o meno costante fino a quando tra me e l'ingresso del teatro erano rimaste solo un centinaio di persone. A quel punto, c'è stata un'inversione di tendenza: chi era già dentro ha iniziato ad uscire, avvertendo a voce alta a beneficio del pubblico che i posti erano esauriti. Ma io non mi sono arresa.

Assieme a molti altri abbiamo continuato ad avanzare fino a guadagnare l'atrio, dove la calca raggiungeva un degno culmine, considerati la latitudine geografica del luogo e il contesto sociale. Alcuni sventolavano i biglietti sopra il capo, tutti gli altri a testa bassa tentavano di avvicinarsi il più possibile al varco d'ingresso alla sala. In poco tempo la situazione è degenerata: chi aveva il biglietto spingeva e inveiva contro chi non l'aveva, chi non l'aveva inveiva contro chi era riuscito a procurarselo, e tutti allo stesso modo inveivano contro l'organizzazione indegna della serata.

Alla fine, il tribuno del popolo di turno si è avvicinato allo sportello della biglietteria, dietro il quale le poltrone erano già vuote da tempo. Ha aizzato la folla, invocando a gran voce la presenza del Signor Direttore e, in mancanza di questo, del Signor Aiuto Direttore. Non si è dovuto attendere molto. Nel giro di un paio di minuti un signore panciuto e baffuto si è palesato dietro alla biglietteria. Il Signor Tribuno del Popolo ha iniziato la sua arringa: una vergogna che la gente sia in fila al freddo dalle 19 per nulla. Una vergogna che arrivati finalmente di fronte alla biglietteria non si sia riusciti a capire da che parte dirigersi per ottenere materialmente il biglietto. Una vergogna che le uniche notizie siano arrivate grazie al passaparola delle persone in coda. Una vergogna soprattutto che non ci siano transenne ad indicare l'ingresso e, una vergogna ancora più soprattutto, che in generale l'organizzazione sia stata così lacunosa e inefficiente. E il biglietto, Signor Aiuto Direttore, può anche ficcarselo dove lei sa.

A quel punto, le mie certezze hanno iniziato a vacillare. Un trentino che trova l'organizzazione poco efficiente e che dice le parolacce? Non potevo credere ai miei occhi neppure dopo, quando la folla ispirata ha iniziato a dargli man forte, battendo le mani con partecipazione, annuendo vigorosamente e rincarando la dose con urli e strepitii. Sembrava quasi… una qualsiasi delle altre regioni italiane.

Quando il Signor Aiuto Direttore ha preso la parola, poi, sono rimasta sbalordita. Ha aperto ammettendo che c'erano stati dei problemi e ha dichiarato di assumersi la colpa dello sconveniente, scusandosi in prima persona con tutti i presenti. Per fare arrivare al meglio il messaggio, ha ripetuto la frase in tre direzioni, rivolto ai tre lati della folla che lo circondava. Dopo di che, ha democraticamente concesso la parola a ognuno dei rivoltosi. In un Paese in cui l'abitudine è quella di elaborare complicate bugie per mascherare le malefatte, sentire una voce che chiedeva perdono mi è suonato nuovo e inaspettato. Allo stesso modo, sono intervenuti anche un vigile del fuoco e un carabiniere. Hanno spiegato che stavano cercando di fare il possibile per consentire ancora a qualcuno di entrare, andando contro le norme di sicurezza e assumendosene personalmente la responsabilità. Speranzosi, noi senza biglietto siamo rimasti nei pressi del varco d'ingresso. Sono entrati i ritardatari possessori di biglietto, è entrata una ragazza che strepitava davanti ad un fotografo, è entrata la coppia che minacciava di avvertire la stampa, è entrato un dipendente della Cassa Rurale (che sponsorizzava l'evento). A noi altri hanno detto di andarcene. Ma io non mi sono arresa.

In attesa senza biglietto eravamo rimasti circa una trentina, ancora accalcati, e lo spettacolo dentro al teatro era appena iniziato. Una comunista della prima ora, che negli anni deve aver sostituito l'eskimo verde mimetico con un altrettanto mimetico cappotto di velluto e orecchini di perle ha approfittato della mia impossibilità di fuga per impartirmi una lezione gratuita sull'inconciliabile dicotomia potere-popolo, sull'ingiustizia dilagante, sulla necessità di defenestrare l'intero governo di imbroglioni e sul suo desiderio impellente di assistere a tale azione dalla piazza, dove è giusto che il popolo stia, con in mano la bandiera di Rifondazione Comunista. Neanche due minuti dopo, la stessa signora entrava trionfalmente brandendo in mano un biglietto estorto a due indignati che avevano deciso di tornarsene a casa, giurando con la convinzione di un ateo con l'ostia in bocca di essere in attesa dalle sette di sera, e dichiarando di non poter tollerare che l'ingresso fosse negato a chi come lei il biglietto ce l'aveva, e già da un po'.

Dopo l'ennesima conferma di non poter far entrare nessun altro, molti se ne sono andati. Siamo rimasti in quindici, e a quel punto è arrivato un fotografo che ha immortalato la scena quando ormai non c'era più nulla da immortalare. La giornalista che lo seguiva si è fermata a prendere nota delle testimonianze dei pochi irriducibili. Mentre i presenti descrivevano con dovizia di particolari l'odissea a cui erano andati incontro in questa tranquilla serata domenicale, il Signor Aiuto Direttore impallidiva dietro agli occhialini tondi. Quando i giornalisti se ne sono andati, ha complottato un altro po' con i le forze dell'ordine e i vigili del fuoco. Si è scusato nuovamente e ripetutamente per l'accaduto, e infine ha fatto entrare altre quattro o cinque persone chiedendo di nuovo a noialtri di levare le ancore. Ma io non mi sono arresa.

Sono entrata assieme agli ultimi rimasti alle nove e mezzo, a spettacolo già ampiamente avviato, felice come una pasqua, scortata da due vigli del fuoco che mi hanno pregato di rimanere in piedi vicino all'ingresso e di non ostacolare il via vai delle persone.

Ho pensato che mi ero sbagliata su due cose: i trentini non sono composti, e non sono rigorosi. Se devono s'incazzano, se possono chiudono un occhio, se vogliono sanno riconoscere di aver sbagliato e chiedono scusa.

Ah, ed naturalmente è valsa la pena aspettare, aspettare, ed aspettare ancora. Simona è stata bravissima, e se anche era senza braccia, io non me ne sono accorta.

 (D.L.)