Gli Stones: al posto giusto nel momento giusto

Essere «nel posto giusto al momento giusto». È stata questa la caratteristica principale che ha fatto la fortuna dei Rolling Stones, una band che ha saputo mantenersi per decenni ai vertici delle classifiche musicali di tutto il mondo ed appassionare un pubblico estremamente eterogeneo. Ad affermarlo è stato il professor Helmut Staubmann, preside della Scuola di scienze politiche e sociologia dell’Univesità di Innsbruck, protagonista di un partecipato seminario tenutosi oggi presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale assieme al professor Andrea Cossu, che dopo un dottorato a Trento insegna oggi sociologia all’Università di Padova. Staubmann e Cossu sono coautori di «The Rolling Stones. Sociologicale perspectives» (Lexington Books, 2013), saggio che ripercorre da diverse prospettive quello che gli autori stessi definiscono «a genuine fait social». 

Ma in che senso gli Stones sono stati «nel posto giusto nel momento giusto»? Per Staubmann la spiegazione va ricercata nel fatto che «sono cresciuti insieme ai  giovani del Dopoguerra, condividendone le peculiarità sociali e culturali e le trasformazioni.» Un successo che, come hanno detto loro stessi in un’intervista, è stato sì frutto di fortuna, ma anche di duro lavoro. Due dimensioni che sembrano inscindibili. Gli Stones hanno, di fatto, guidato le trasformazioni sociali del loro tempo, basando il loro successo – a detta del professore – su tre pilastri: «la loro musica, le loro esibizioni e la capacità di adattarsi alle condizioni e alle circostanze».

Il professor Cossu, che ha curato la prima parte del volume assieme ad un altro studioso, Matteo Bortolini, ha invece posto l’accento su una delle caratteristiche più rilevanti della band: l’esistenza, fin dall’inizio, di due poli interni, costituiti da Mick Jagger e Keith Richards, che a detta di Cossu è stata funzionale alla permanenza dell’autenticità della band nel tempo, garantendone non solo la «sopravvivenza» ma anche il successo nel corso del tempo. Un lavoro decisamente degno di attenzione perché, come ha osservato il prof. Giuseppe Sciortino, organizzatore dell’incontro, «riesce a fare un’analisi sociologica del fenomeno senza cadere nella trappola di rendere l’argomento noioso».

(di Benjamin Dezulian)