Comunicazione, scienza e presupponenza

Comunicazione, parola usata ed abusata nella nostra era, è stata al centro della conversazione (poiché dibattito ve n'è stato poco) avutasi ieri sera al Muse con ospiti Oliviero Toscani, fotografo e pubblicitario di fama internazionale e Michael John Gorman, CEO del Science Gallery, Dublino. Visto il tema amplissimo, si è deciso di focalizzarlo su un aspetto in particolare, scelta non casuale vista la sede, quello della comunicazione scientifica. E dunque ci si è chiesti come comunicare la scienza, ma anche come la scienza stessa possa assolvere il compito di divulgatrice di contenuti.  Ed ancora, quale sia il ruolo delle immagini in tale comunicazione, perché, come sottolineato nella breve introduzione del direttore del Muse Michele Lanzinger, l'immagine ha una natura ibrida, potendo fungere da strumento di rassicurazione (nell'immagine ci riconosciamo), ma anche di propulsione all'innovazione grazie alla carica fascinatoria che spinge a seguire nuove tendenze (termine di conio marcatamente pubblicitario).

La conversazione si è aperta con l'intervento di Gorman, il quale ha fatto sfoggio di un ottimo italiano oltre che di abilità informatiche, visti i primi minuti di panico quando il PowerPoint non voleva saperne. Il suo intervento ha avuto come bersaglio iniziale le false believes che circondano il mondo della scienza: che questa debba essere “fun”, ossia divertente, per bambini e che debba essere certa, qualcosa che già sappiamo. Se la conseguenza del primo punto è il fatto che la scienza venga presa poco sul serio dagli adulti, vedi poi il tasso altissimo di analfabetismo scientifico presente in Italia, le ricadute del secondo non sono meno gravi, poiché si perde di vista che il fondamento di questa disciplina è la curiosità per qualcosa che ancora non si sa (ma questo già lo diceva Aristotele). Gorman è riuscito a smentire i falsi miti con una carrellata di immagini tratte dai progetti all'avanguardia che la sua fondazione ha realizzato negli anni. Si va da un fungo sotto i piedi per garantire l'autoproduzione di sostanze utili all'uomo (così da sostituire il commercio di organi), all'immagine di un dente progettato per essere erbivoro (così da eliminare il problema del consumo di carne), all'artista che non riesce a togliersi il vizio del fumo, ma preserva con strumenti sofisticati i polmoni di un maiale nell'attesa che divengano i suoi. Per non parlare dell'immagine shock di un organismo, frutto di biologia sintetica, dalle fattezze di un feto suino che tuttavia ci guarda con un occhio umano, troppo umano, come a dirci ed ora che facciamo? Queste soluzioni sono idee attraverso cui la scienza comunica e ipotesi di quello che la scienza potrebbe fare per l'umanità -concesso che l'uomo lo permetta (chi sarebbe disposto a farsi crescere un fungo sotto i piedi??). A fare da sfondo al discorso di Gorman c’è un'idea della scienza come conversazione, come dibattito necessariamente presente in una comunità creativa che unisca linguaggi diversi di designers, artisti e scienziati, fino ad ora rimasti separati nelle barricate della specializzazione. E conseguentemente l'arte come sistema di early morning (allarme precoce), che punti il dito sui nuovi fenomeni.

 

Dopo un'analisi puntuale e condotta con fare british, arriva la torrenzialità di Oliviero Toscani. Il quale attacca subito con la recriminatoria contro la società moderna ostaggio del marketing e delle multinazionali. I concetti, o meglio le parole, su cui si incarognisce sono quelli di “immagini vere”, “creatività”, “coraggio”, “provocazione”. Ebbene la tesi, ammesso possa definirsi tale quel coacervo di proclami, è che l'artista/il creativo di oggi sia schiavo delle multinazionali, incapace di osare perche asservito al potere. Il signor potere poi, fa di tutto per appiattire le coscienze, per creare della mediocrità, individuando nel successo la “ripetizione dell'identico a sè”. È insomma un'epoca di codardi, manchevoli di coraggio, il quale, secondo la definizione di Olivieri, consiste nel “trascendere” la committenza, nell'arrischiare la “verità del presente”. In una escalation di sentenze abbastanza facilotte quali “la creatività è sempre sovversiva”, “la proprietà intellettuale è l'arma del potere” (ma dimentica che è la stessa proprietà intellettuale che gli ha permesso di denunciare Fratelli d'Italia per essersi appropriati di una sua immagine in una campagna pubblicitaria omofoba), arriva a dire che è grazie alla fotografia che abbiamo la “vera storia”, perché è da quando è nata che l'uomo ha conoscenza di sé (sic!). Che se ci fosse stata la fotografia la Bibbia sarebbe stata scritta in modo diverso, Napoleone sarebbe stato un altro uomo etc. Certamente è vero che la fotografia ha questo potere documentale, ma forse sarebbe stato il caso di vagliare l'ipotesi di come le immagini possano al contrario trasfigurare la realtà, perché dietro ad un obiettivo, non dimentichiamolo, c'è sempre lo sguardo di qualcuno che decide di far vedere quel fazzoletto di terra piuttosto che i due centimetri a fianco.

Ad una domanda del mediatore che gli chiede se la saturazione di immagini cui oggi assistiamo ha creato in noi una certa assuefazione, risponde -semplicisticamente- negando. Nega persino che la tecnologia abbia apportato cambiamenti, con l' “azzeccatissima” argomentazione che il fatto che il poeta sia passato dal pennino alla biro non ha cambiato il suo scrivere.

Ricorda con nostalgia i tempi in cui i papi potevano ordinare a Michelangelo di dipingere la Cappella Sistina e i Doge potevano prendere un pezzo di laguna e farci Venezia. Concludendo sempre con l'invocazione al Dio coraggio, oggi scomparso. Tutto questo senza il minimo vaglio critico che dia contezza del fatto che non siamo più al tempo del papato e l'Italia non più divisa in principati e repubbliche e l'idea stessa di committenza è mutata profondamente. Non si chiedeva certo a Toscani di fare una analisi marxista, ma nemmeno di riempirsi la bocca con slogan e rispondere “questo è un discorso della nonna” non appena la domanda richiedeva uno spirito critico maggiore. Infatti alla domanda che forse tutti aspettavamo risponde con fare seccato. Gli si chiede come questo suo ardore e sfrontatezza possano conciliarsi con il fatto che ha sempre lavorato per grandi multinazionali anche ora che avrebbe tutte le possibilità per lavorare autonomamente. Apriti cielo: sfoggia Wright per dire che un buon architetto è colui che ha un buon committente e poi caccia dentro il sempiterno Olivetti (buono per ogni citazione) come esempio illustre di committenza lungimirante, concludendo che comunque il “mercato” non è una brutta parola.

Alla domanda di una ragazza del pubblico, storica dell'arte, che gli chiede che ruolo abbia per lui l'Estetica, fa uno scivolone dimostrando di scambiare l'Estetica per il visivamente piacevole, spazzando in un colpo solo una discussione filosofica centenaria sull'argomento.

In un atto autocelebrativo proietta, a conclusione della conversazione, un video di qualche minuto in cui fa sfoggio della sua innata attitudine a catturare il contrasto. Il titolo è Wart, parola che sovrappone war e art. Il contenuto è ben spiegato nella didascalia: la tragicità della bellezza. Il video, a onor del vero, è forse l'unica cosa che si salva del suo intervento: seguendo i dettami della Toscanologia, vengono mostrate in sequenza serrata con effetti pseudo subliminali associazioni di immagini tratte da paesi di guerra, da situazioni di degrado umano e immagini provenienti dal mondo dell'arte. Corpi esangui e pelle ossa associati alle modelle di Modigliani, le teste mozzate delle vittime dei terroristi giustapposte a quella di Golia tenuta in mano da Davide, il volto di Saddam e quello del San Pietro caravaggesco, la fucilazione Goya e…altrettante fucilazioni. E poi Guernica = guerra, la Notte stellata di Van Gogh = bombe nel cielo, l'Urlo di Munch = volti di madri straziati dalla sofferenza. Certo, l'effetto di questi accostamenti è forte ed incisivo, ma siamo poi sicuri che sia questo il vero scandalo di cui va parlando e che oltre all'impatto visivo vi si possa leggere un messaggio capace di puntare il dito sul mondo e aiutarci a capirlo?

(C.A)