Che cosa resterà di me, del transito terrestre?

Un ricordo di Franco Battiato, per provare a fissare il tempo.

di Leonardo Tosi

Ho pochi anni, quattro, cinque, forse sei. È quasi ora di cena e sto facendo quello che fanno tutti i bambini prima di cena in una normale serata di un mese non compreso tra fine maggio e settembre: nulla.
Gironzolo per casa aspettando di venire nutrito, mi butto sul divano, vado a disturbare mia madre in cucina.
Poi mio padre, che è tornato a casa dal lavoro, si avvia verso l’impianto stereo e rompe la monotonia come il vento spazza improvvisamente la bonaccia d’agosto™: è il momento della musica.

La musica a casa mia si ascolta la sera, quando mio padre rincasa: non che a mia madre non piaccia, ma quello appassionato è papà, e io sono semplicemente troppo piccolo per orientarmi nella marea di CD, LP e cassettine, e comunque troppo basso per arrivare a prenderli e inserirli nel lettore.
Quando papà mette piede in casa, dopo essersi cambiato, si dirige verso la sua collezione di dischi, sceglie sapientemente, schiaccia qualche bottone come se stesse digitando una combinazione segreta e riempie l’aria di suoni sempre nuovi e sempre più affascinanti.

Così (come per tanti altri) scopro Franco Battiato: ascoltando La voce del padrone, che fa breccia nella mia testa di bambino grazie all’onomatopea buffa di Cuccurucucù e poi, giorno dopo giorno, anno dopo anno, mette radici, perché è un disco incredibile, una meraviglia Pop con la P maiuscola, un fenomeno di costume, insomma avete capito, mica ve lo devo dire io cos’è La voce del padrone.

Queste righe, che non vogliono essere un coccodrillo melenso (che mi vergogno a scrivere e che Battiato non avrebbe in ogni caso voluto, sereno com’era del suo percorso) né un pezzo rivoluzionario sul cantautore di Ionia (che è sicuramente già stato scritto da qualcun altro), le scrivo soprattutto per me.
Le scrivo per me perché sento il bisogno di fissare in qualche modo questo giorno eccezionale, perché non mi va di farlo scorrere come tanti altri, perché la consapevolezza del tempo che passa inesorabile fa sempre un po’ paura e quando qualcosa o qualcuno interviene a ricordarcelo la stretta alla bocca dello stomaco è sempre forte e improvvisa e inevitabile e devo fare disperatamente qualcosa per cercare di fermare il presente che diventa passato tirandolo per l’orlo dei pantaloni.

L’idea era che questo pezzo fosse una specie di compilation (che bel termine demodé) delle mie 10 canzoni di Franco Battiato (che originalità), ma poi non mi andava di sceglierne solo dieci, quindi sarà una lista un po’ strana, un po’ sgangherata, incompleta (l’ho già detto che mi piacciono le liste?), una breve raccolta di ciò che di Franco Battiato mi dà i brividi (di ciò che mi dà più brividi, perché di parole e note che si intrecciano lascivamente provocando sorpresa, ammirazione, commozione, godimento Battiato ne ha lasciate tante) nonché una fotografia del mio oggi dominato dalla sua presentissima assenza.
Buona lettura, se vi va (se cliccate sul grassetto da qui in giù finite in mondi magici/vedete le cose che cito).

  • La tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m’incatena: passaggio sublime. Se dovessi scegliere un verso di Battiato da portarmi nella tomba sarebbe questo; se Cuccurucucù è la canzone che mi ha di fatto introdotto a Battiato, Sentimiento Nuevo è quella che mi porterò sempre dentro.
    Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo.  
  • Il tema di Voglio vederti danzare che si fa in 7/8 e poi vecchio valzer viennese: a qualcuno il riff fa venire mal di testa, ma spogliando il pezzo dei motivi che hanno spinto Marvin e Prezioso a farne una hit da discoteca rimane una sostanza fatta di immagini esotiche e affascinanti e una trovata musicale che mi stupisce sempre e comunque nella sua geniale semplicità. Quando lo sento, tolgo il cappello e rendo omaggio.
  • Up Patriots To Arms: il recitato arabo che si mescola a una musica classica trionfale, che poi lascia il posto al duetto di cornamusa e pianoforte. E poi avete sentito come dice “l’ayatollah Khomeini”?
  • La stagione dell’amore: parte come una base MIDI su cui fare gli esercizi musicali e poi “se penso a come ho speso male il mio tempo che non tornerà, non ritornerà più”. Sbam.
  • Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine: E ti vengo a cercare è una ballad dolcissima che proprio quando lui dice “dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri” cresce fino a scoppiare in un’evoluzione melodica che si ficca lì nel cuore, nel petto, o dove provi le cose insomma.
  • L’era del cinghiale bianco: altro giro, altro intro orientaleggiante e pazzesco di un pezzo meraviglioso, di un album meraviglioso. “Un uomo di una certa età/ mi offriva spesso sigarette turche”.
  • Venezia-Istanbul: per restare sul tabagismo “mi dia un pacchetto di Camel senza filtro e una minerva/ e una cronaca alla radio dice che una punta attacca/ verticalizzando l’area di rigore”. Questa canzone mi ricorda i primi libri di Luther Blisset-Wu Ming e mi ricorderà una splendida foto che ho visto oggi di FB con la divisa della nazionale cantanti che dimostra che in un’altra vita è stato un enganche di successo nei campi polverosi della periferia argentina.
  • Finirà me l’hai detto tu, ma non sei sincera: e invece è sincerissima. Per tutte le volte che ho cantato a squarciagola Te lo leggo negli occhi sperando che fosse come diceva il Maestro e invece no, con tutto il fardello che ne consegue. E poi la potenza di “e ne tuoi occhi che piangono/ mille ricordi non muoiono”.
  • Ruby Tuesday: ma poteva essere Hey Joe, perché Franco Battiato ha fatto delle cover dellamadonna.
  • I treni di Tozeur: il duetto con Alice, i violini, “e per un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità”. Eccome.
  • Alexander Platz: aufwiedersehen, c’era la neve. Altra grande collaborazione, stavolta con Milva, una canzone che è un’enorme suggestione. La ascolto in loop da settimane grazie a una versione lo-fi dei Ministri di una bellezza fredda e disarmante.
  • Concerto di Baghdad: Franco Battiato con il barbone e un look da colto medico mediorientale che suona in una città devastata dalle bombe. Un bellissimo concerto e “E' inutile ribadire che lo scopo principe della mia visita in Iraq era umanitario, perché non trovo giusto che un popolo debba soffrire per colpe non sue; … Di questo viaggio ricordo la commozione dei musicisti iracheni, che non hanno più nulla, e che hanno ricevuto spartiti, ance, corde per i violini. Ricordo quel pianoforte che abbiamo dovuto accordare a 440 invece che a 442 per paura che saltasse tutto. Non ci sono libri, non c' è possibilità di continuare a studiare, e se la cultura, le notizie non arrivano è difficile che un regime si possa contrastare”. Una delle cose che oggi mi hanno commosso di più.

Per continuare con il format, breve lista di un po’ di suggestioni odierne che mi hanno incuriosito, divertito, consolato: Sasha Grey che twitta in memoria del “magical poet and ethereal musician”; Tardelli che ascoltava Cuccurucucù Paloma a palla con tutto lo spogliatoio per caricarsi prima delle partite di Spagna ’82; Loredana Berté che mostra le tette al Maestro e a un manipolo di fortunati astanti su un volo per Mosca; Franco Battiato che fa gli auguri a noi perché lui è a posto così; l’incredibile collezione fotografica di Franco Battiato Archive (la foto di copertina è presa da lì).

E, per chiudere, un thread dell’account Twitter Dischivolanti, che è l’altra cosa che mi ha molto commosso oggi, e grazie al quale per la prima volta ho ascoltato Pollution (cosa di cui sono molto grato): la recensione al vetriolo di un amico sul suo primo disco in uscita nel 1972.
“…Non è musica. E' un trasferimento in tradotta blindata fino ai confini del pianto. Lì si sfascia tutto. Uno resta solo. Uno vuole restare solo. Uno non può che restare solo. Franco Battiato è il genio malato responsabile di questo crimine lucido. […]
Franco Battiato è il lucido responsabile di quest'opera autolesionista, crudele, violenta come la fame di un bambino.
Sergio.”

“Che cosa resterà di me, del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho preso in questa vita?”
Tantissimo. Ciao, Franco.