La prima serata del Trento Film Festival è stata all'altezza delle aspettative grazie al connubio creato dal cine-concerto: un modo originale e molto efficace per mettere in risalto il meglio di ognuna delle due forme di arte.
Lo spettacolo è andato in scena all'auditorium Santa Chiara il 26 aprile.
L'evento si è aperto con le suggestive immagini dell' Ascensione al Cervino, film del 1911/1912 per la regia di Guido Piacenza, restaurato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino. A questo seguirà, la sera del 4 Maggio presso il Cinema Modena, la proiezione dell'Ascensione al Dente del Gigante, sempre dello stesso regista.
Dopo l'introduzione sul tema della montagna, si è cambiato totalmente registro con l'apparizione sul palco del gruppo turco BaBa Zula e sulla parete del teatro di Enis Aldjelis – Die Blume des Ostes, film muto di produzione austriaca datato 1920, in cui per la prima volta Istanbul fa da sfondo ad una storia, ovviamente d'amore, narrata sul grande schermo.
Il gruppo è formato da 5 componenti: Murat Elter al saz elettronico e alla voce, Levet Akman ai piatti e drum machine e Ço?ar Kamç? che con le sue dita fa suonare il darbouka in una maniera così naturale ma allo stesso tempo complessa da lasciare spiazzati. A completare il quadro c’è infine una corista che accompagna la musica con dei campanellini e un disc jockey vecchio stile, armato di vinili, che spesso introduce suoni d'altri tempi “screcciando” sui piatti con naturalezza.
La vicenda del film – un intreccio di relazioni amorose tra un Pascià scapestrato che si finge nullatenente e la figlia di un ricco mercante turco dall'aria burbera e minacciosa – procede molto gradualmente. È solo grazie agli intermezzi musicali ben studiati e calibrati che anche lo spettatore meno appassionato del genere non si lascia distrarre, o peggio annoiare, dalla lenta processione di questa "love story orientale".
Nei primi 3 atti del film i suoni sono spesso minimali e soprattutto elettronici; in questo frangente viene dato (ahimè) poco spazio all'esibizione del vero talento dei musicisti. Si sentono accennare e ripetere vari brani della band, a cominciare da Kelebekler kular, che imita il lento volo degli uccelli e quello forsennato delle farfalle, e che forse in questo caso vuole cercare di trasmetterci gli affanni dei due amanti che si cercano, si perdono, e infine si ritrovano in un mix di emozioni difficilmente esprimibile a parole.
Si passa poi per l'estatica Cecom, brano molto introspettivo e romantico, anche questo ripetuto in vari momenti del film: un brano che lascia sospesi tra il cielo e la terra, tra l'ardere di un amore perso all'orizzonte e il rassicurante abbraccio della musica, che sembra quasi arrivato a compensare la sensazione di vuoto e di caducità che solo le pene d'amore possono infliggere.
Ma è solo sul finire del film che la band inizia a esprimersi più liberamente, sperimentando suoni elettronici abilmente mescolati agli strumenti tradizionali e alla voce trasportante della corista. La musica riesce qui ad entrare in perfetta sincronia con le scene del film e con gli stati emozionali che esso vuole trasmettere. Incertezza, sospetto, rabbia e rassegnazione sono tutte emozioni che si materializzano nelle orecchie e negli occhi degli spettatori, emozioni che non potrebbero essere altrettanto nitide se uno dei due elementi, quello musicale o quello visivo, venisse a mancare o se non fossero entrambi così nitidi e vividi.
Per quanto la troupe del film sia stata quasi interamente composta da personale austriaco, le ambientazioni, i paesaggi e i cliché narrativi danno un tono molto esotico al film, e la storia raccontata sembra essere molto più antica dei quasi 100 anni che ci separano dalla produzione della pellicola. Servitori, spie, ancelle, conoscenti invidiosi e padri apprensivi sono i personaggi principali di questo film che sfiora una conclusione shakespiriana alla "Giulietta e Romeo", salvo poi dar prova di originalità nel finale. La storia di Enis e Achmed, così come ci viene narrata, potrebbe essere una tra un milione, ma questo non ci è ovviamente dato sapere.
Il film a questo punto termina, la band suona in totale libertà per una buona mezzora, sfoggiando una versione estesa di Hopce, uno degli ultimi cavalli di battaglia del gruppo. Durante l'esecuzione di questo brano, Murat – il leader, il vero "papà zula" – scende dal palco e, continuando imperterrito a pizzicare le corde del suo saz, se ne va a zonzo su e giù dagli scalini, davanti e dietro al palco e persino tra i seggiolini del teatro, provocando la reazione stupita e divertita del pubblico che lo segue con gli occhi e con le orecchie ben puntate in tutti i suoi spostamenti.
Il concerto termina con un bis a grande richiesta, nel quale la band si lancia in una versione altrettanto estesa di Istanbul Cocuklari, anche questo un classico della band.
Le luci si accendono e gli occhi strabuzzano. È stato un evento particolare, diverso dal solito, che ha impegnato più sensi contemporaneamente. Uno spettacolo ibrido che forse non è stato immediatamente e totalmente recepibile, visto l'impegno richiesto nella stimolazione dei sensi. È stato meno di un concerto e meno di una proiezione, ma ha sicuramente lasciato qualcosa di più di un semplice concerto e qualcosa di più di una semplice proiezione.
Questo spettacolo lascia il desiderio di seguire un concerto "puro" di questa band che sembra provenire da un passato e da una terra così remoti, ma che allo stesso tempo profuma di nuovo, di avveniristico e di sperimentale. Molto interessante è stata inoltre la formula del cine-concerto, una forma di espressione inedita che sembra essere un valido ponte tra due forme d'arte così vicine nello spazio ma così lontane nel tempo.
Per approfondire l'ascolto consigliamo due brani che non sono stati eseguiti durante la performance, ma che aiutano a capire quanto sia ampio lo spettro musicale sul quale si muove questo gruppo e riescono a coprire con le loro particolarissime sonorità.
(di Marcello Vigilante)
(foto Trentofestival.it)