Referendum Costituzionale in 5 step: pt. 2

di Marta Pilotto e Lorenza Giordani

Nella puntata nr. 1 di questo piccolo excursus sulla riforma costituzionale che saremo chiamati a votare il 4 dicembre, ci siamo soffermati sul superamento del bicameralismo perfetto e sul procedimento a data certa.

Qualcosa del nuovo Senato, dunque, abbiamo già detto, ma la sua radicale trasformazione non riguarda solo il suo ruolo nel procedimento legislativo. Per la terza tappa, perciò, non tiriamo i dadi e ci fermiamo a Palazzo Madama per andare a vedere cosa – o meglio chi – sarà il cd. Senato dei cento.

 

L’attuale Camera alta è composta da 315 senatori eletti direttamente dai cittadini con più di 25 anni. Oltre ai componenti elettivi, vi siedono gli ex Presidenti della Repubblica quali senatori di diritto e a vita, nonché i senatori a vita – ad oggi 5 – nominati dal Capo dello Stato fra i cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti.

Innanzi tutto, la riforma va a sancire un tetto massimo al numero di componenti di tale organo, prevedendo una sensibile riduzione dei senatori della Repubblica. Il Senato non potrà, infatti, essere composto da più di 100 membri.

La novità di maggior rilievo, dopo la diminuzione del numero, riguarda le modalità di elezione di tale camera.

Il nuovo Senato non sarà eletto dal popolo, bensì indirettamente, dai consigli regionali e dal Presidente della Repubblica.

Alla massima carica dello Stato spetterà la nomina di massimo 5 senatori che, al contrario del sistema vigente, avranno un mandato limitato, di 7 anni e non rinnovabile.

I 5 senatori a vita attualmente nell’esercizio delle proprie funzioni, dunque, rimarranno in carica ma non verranno poi sostituiti. Rimane ferma, invece, la carica di senatore a vita per i Presidenti della Repubblica al termine del proprio ufficio.

I restanti 95 membri saranno indicati dai consigli regionali, che nomineranno 21 sindaci (uno per regione e uno ciascuno da parte delle Province autonome di Trento e Bolzano) e 74 consiglieri regionali, in proporzione alla popolazione regionale e ai voti ottenuti da ciascun partito.

Ogni regione non potrà essere rappresentata da meno di 2 senatori.

 

[Ok, abbiamo sparato un po' di numeri, ma occhio, i numeri in questa riforma sono importanti perché proprio sulle cifre si giocano molte delle ragioni del sì e del no]

 

I nuovi senatori resteranno in carica per la durata del consiglio regionale che li avrà eletti.

Inoltre, non spetterà alcuna indennità per l’esercizio del mandato, pertanto riceveranno unicamente lo stipendio da amministratori locali.

Ai senatori verranno comunque garantite le stesse prerogative dei deputati, ivi compresa l'immunità parlamentare.

 

Le ragioni del sì: la riduzione del numero dei senatori comporterà una riduzione del numero dei parlamentari e un abbassamento dei costi della politica, anche dovuto al fatto che per l'ufficio di senatore non sarà dovuta alcuna indennità.

Il nuovo Senato, inoltre, sarà un organo rappresentativo delle autonomie locali ed eserciterà in maniera più efficace la funzione di raccordo fra Stato ed Enti territoriali.

 

Le ragioni del no: la riduzione dei costi del Senato è molto più esigua di quello che il Governo, promotore della riforma, ha calcolato, in quanto la maggior parte della spesa pubblica dipende non dalle indennità, ma da costi fissi dell'organo non toccati dalla Legge Boschi.

L'elezione del Senato non più a suffragio universale elide il rapporto diretto con gli elettori. Inoltre, il consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, a cui rimane legato per ragioni politiche. I criteri di selezione non ancora trasparenti, in attesa di una legge puntuale di attuazione, fanno apparire il nuovo Senato più come una camera di localismi anziché l'auspicata camera delle Regioni.

In virtù del doppio incarico, i senatori-sindaci e i senatori-consiglieri non potranno lavorare a tempo pieno a palazzo Madama, inoltre l'immunità parlamentare ad essi concessa potrebbe comportare una discriminazione tra pari all’interno di uno stesso organo e mettere a riparo i politici corrotti dall'azione della magistratura.