Ho trovato l’invasor

La quarta stagione della "Casa de Papel"

di Lucia Mora

 

ATTENZIONE: questo articolo contiene spoiler. Continuate a leggere solo se avete già visto la quarta stagione della “Casa de Papel”.

 

Bene. Suonato il doverosissimo campanello d’allarme degli spoiler, cominciamo a farne come se non ci fosse un domani.

Il 3 Aprile è uscita per Netflix la quarta – ma non ultima – stagione della “Casa de Papel”, serie tivù spagnola che in poco tempo è riuscita a conquistare un fandom gigantesco, sparso in tutto il mondo. In tutto il mondo infatti sono risuonate (per fortuna) le note di "Bella Ciao", ed è esploso il mercato delle maschere di Dalí. L’attesa per questa quarta stagione era alle stelle.

Ma dove eravamo rimasti con la serie?

 

La terza stagione aveva diviso i fan tra critici e ammiratori. In qualità di incontentabile scassamaroni (perdonate il tecnicismo), chi scrive si era schierata tra i primi.

Sottotono, poco originale, ripetitiva. Quasi un ricalco delle due stagioni precedenti, con l’aggiunta – neanche troppo incisiva – di qualche nuovo personaggio. L’attesa della quarta stagione si fondava insomma solamente sulla speranza di vedere qualcosa di nuovo, o quanto meno al livello dei primi episodi.

Desiderio esaudito?

Questa non sarà una vera e propria recensione, perché riassumere tutto in un articolo sarebbe impossibile, e probabilmente anche inutile. Ci si limiterà quindi a scrivere tre cose positive e tre che, invece, meh (perdonate ancora il tecnicismo). Sono ovviamente solo spunti balzati alla mente guardando la serie, perciò chiunque voglia commentare o dire la sua è assai gradita/o.

 

3 cose positive

1. Nairobi. Non c’è niente da fare: insieme al Professore, è il personaggio migliore. Sveglia, forte, indipendente. E, di conseguenza, inevitabilmente femminista. Nella fonderia, quando deve incoraggiare i compagni a proseguire («Sapete cos'altro fa davvero paura? Tornare di notte a casa, da sola, ma una continua a farlo: prende la paura per mano e continua a vivere») tocca apici inarrivabili. C’è chi sostiene che avrebbero dovuto lasciarla morire subito, invece che “trascinarla” più in là: mah. È stata comunque utile alla trama. Senza contare che di Nairobi c’è sempre bisogno.

2. La dinamica. Oh, ce l’abbiamo fatta a dare una svegliata a questa serie! Finalmente è tornata la buona e vecchia tachicardia che ti tiene incollato allo schermo fino all’ultimo. Era ora, no?

3. Aria fresca. A cominciare dal minor spazio concesso a Tokyo. Stai a vedere che forse hanno capito che stavano per raggiungere Skyler White, in quanto a odio per un personaggio. Questa cosa che per essere interessante devi per forza fare di testa tua, essere spericolata e comportarti in maniera aggressiva ha fatto il suo corso, grazie. Sapete che cosa è interessante, invece? Il disturbo da stress post-traumatico di Rio, che fa dimenticare il ragazzino ingenuo delle prime stagioni e mette in luce una sensibilità nuova, lontana dal machismo che contraddistingue invece quasi tutti i suoi compagni di brigata. Oppure la new entry Manila, la cui storia avrebbe molto da insegnare a quegli stessi compagni (e ci sta forse riuscendo, come si è visto per qualche secondo con Denver). Il rapporto Berlino-Palermo. Ecco, queste sì che sono cose interessanti. Non Tokyo.

 

3 cose che invece meh

1. arturo román (no, non si merita neanche le maiuscole). Fastidioso come una zanzara sottocutanea. Evoluto come il plancton primordiale (e chiedo scusa al plancton primordiale, perché almeno a qualcosa è servito). arturito ha francamente scartavetrato tutto lo scartavetrabile. Da quando si è scoperto stupratore, poi, è riuscito persino a battere Tokyo nella classifica del “ma te ne vai?”. Gli sia lieve il crepuscolo.

2. Il matrimonio di Berlino. È piaciuto a tutti. A chi scrive no (te pareva). Sarà perché non provo questo amore accecante (delirante?) per Berlino – personaggio curioso e interessante, sì, ma niente di più -, però quella scena non si è proprio capita. Non se ne capisce l’utilità, più che altro. Sembra solo una scusa per accontentare i fan, e per inserire qualche canzone italiana a caso. Boh.

3. Le uscite di Denver. «Tokyo è come una Maserati: se la lasci in mezzo alla strada, con le portiere aperte e le chiavi inserite, tutti vogliono farci un giro». Ehm, no? Ma che è ‘sta roba? Dove sono gli sceneggiatori del matriarcado? “Serve per delineare meglio il personaggio e la sua mentalità”: balle. Dopo quattro stagioni non hai bisogno di “delineare meglio” il personaggio. Hai bisogno di farlo evolvere (vedi Rio). Si spera che, proprio grazie al nuovo rapporto con Rio e con Manila, questi passi avanti arrivino presto, e possibilmente non sotto forma di una collana a forma di cuore. Stessa cosa per Palermo: la retorica del “sì sono stato cattivissimo, però ora mi sono convertito” non ha mai (mai) convinto. Tuttavia, allo stesso tempo, tutti noi non vediamo l’ora che esca dal ruolo del teppista piagnucolante e che faccia qualcosa di intelligente (magari anche di simpatico). Quindi ben venga persino la conversione à la San Francesco.

 

Il finale, comunque, promette bene. Quinta stagione: ti aspettiamo e non ti temiamo.