Galimberti a Trento

Venerdì 14 marzo, Teatro Sociale di Trento: in occasione dell’incontro Generazioni orfane di futuro, coordinato dalla direttrice del giornale SENTIRE Corona Perer, il professor Umberto Galimberti discute sul tema del disagio giovanile con Aldo Genovese, direttore del Centro Disturbi Comportamento Alimentare.

Chi già l’ha sentito parlare, sa che Galimberti ama recitare una parte. Certo, tutti relazionandoci interpretiamo un ruolo, ma questo risulta più evidente nei personaggi pubblici, e tanto più nelle figure un po’ sopra le righe. Ecco perché, per sentire davvero quello che il famoso filosofo spiega, è necessario scindere il contenuto dalla forma, individuare gli scatti nervosi, la rassegnazione costruita nell’accasciarsi sullo schienale dopo un sermone rabbioso, le pointes finali che con tanta facilità si conquistano gli applausi, e lasciarli da parte, per infine ascoltare. È bene apprezzare la retorica, ma non lasciarsene sopraffare.

Faticando più volte a rispettare la pertinenza, Galimberti ha risposto ai quesiti della Perer sul difficile inserimento dei giovani in una società che li rifiuta: perché questa difficoltà e questo rifiuto? e come risolvere, se possibile, il conflitto generazionale? Alle risposte del professore si sono affiancate quelle del dott. Genovese, che con competenza ha introdotto le questioni dell’anoressia, la bulimia, e altri disturbi che riflettono il malessere della nostra generazione.

Miguel Benasayag è stato il primo dei molti nomi citati da Galimberti. Filosofo e psicanalista argentino, attivo a Parigi dove lavora con adolescenti problematici, Benasayag racconta di “giovani che stanno male, ma non sanno perché”. Giovani che vivono il presente in diretta, senza prospettive, senza speranze, senza guardare verso un futuro che non è più una promessa, ma un’imprevedibile, demotivante minaccia.

Di problemi psicologici la gioventù ne ha sempre avuti, in quel turbinio caotico che è l’adolescenza. Il suo problema, ci spiega il professore, è di natura culturale. Di volta in volta i valori tramontano e risorgono, si svalutano e si rinnovano, ed è normale e positivo che sia così; ma qualcosa è saltato nel ciclo, e la nostra generazione non ha saputo sostituire valori nuovi a quelli perduti. Saremmo così nei dürftige Zeiten di cui già scriveva Hölderlin, si avvererebbe così la profezia nichilistica che Nietzsche pronunciava nel 1888: mancherebbe uno scopo. Donde una ricaduta di non-senso circa l’esistenza.

Il ruolo dei genitori nella costruzione dell’identità del figlio è fondamentale. L’identità non è data con la nascita, ma è costruita attraverso il riconoscimento. Ecco perché il bambino necessita di tanto tempo di qualità con il padre e la madre, che devono educare i figli, prestare loro attenzione, badare alla loro formazione per creare in loro una fiducia di base. La mancanza di questa dedizione, dovuta alla carenza di tempo e/o d’interesse, rovinerebbe la gioventù che, misconosciuta, non si sente una risorsa: si sente un problema.

Il tema dell’educazione sta a cuore al professore: la scuola, che dovrebbe educare, non fa che istruire. A che scopo cumulare nozioni? Tra i banchi si dovrebbe imparare a passare dall’impulso all’emozione, dall’emozione al sentimento. Ciò significa evolvere dalla condizione naturale, impulsiva, per sviluppare una risonanza emotiva nella nostra psiche e distinguere così tra bene e male. Sconfitta la psico-apatia, non resta che acquisire il sentimento, insegnato da sempre tramite il mito, la leggenda, la più raffinata letteratura. Ma se la scuola non funziona, se la cultura è decaduta – e per Galimberti è questo il caso – allora il sentimento non si acquisisce, la gioventù non impara a sentire. Non è sorprendente, in quest’ottica, che i ragazzi non sappiano definire il proprio malessere.

Né sono sorprendenti le loro reazioni al malessere: l’uso di droghe, i disordini alimentari. Nel primo caso in particolare, occorrerebbe istituire una cultura della droga, vale a dire comprendere che gli stupefacenti, come il cibo, costituiscono un piacere, per cui il loro abuso va inserito in un contesto edonico che risulta comprensibile anche a chi non ne è vittima. Va compresa altresì la distinzione, sottolineata tanto da Galimberti quanto da Genovese, tra le droghe anestetizzanti e quelle eccitanti, che rispondono a due esigenze diverse: le prime verrebbero assunte da chi, non sentendosi convocato, non ha interesse a essere presente, perché non ne vede lo scopo; le seconde aiuterebbero chi ne usufruisce a sentirsi all’altezza del livello di efficienza e produttività richiesto dalla nostra società, dominata dalla tecnica.

Con questo termine (forse non felicissimo, ndr) si entra in un tema tanto caro quanto scoraggiante per il professore. Per tecnica egli intende la forma più alta di razionalità, una cultura basata sul “minimo sforzo, massima resa” applicato all’essere umano. Nell’uomo esiste tuttavia anche una parte irrazionale, che non è contemplata nell’esser uomo dei nostri tempi e che perciò non consente all’individuo di sbocciare e diventare se stesso. Vivere dunque senza la possibilità di realizzarsi: non significa forse rinunciare alla felicità, scopo ultimo della vita? Già Aristotele designava questo scopo con il termine εuδαιμονια, il buon demone, l’espansione del proprio io, l’auto-realizzazione (i francesi dicono bene épanouissement). Una cultura, quella occidentale, che si fonda sull’impossibilità di raggiungere questo fine, può non essere votata al tramonto che già il nome preannuncia?

E sull’Occidente il filosofo ha molto da dire. Occidente o Cristianesimo che dir si voglia, visto che in fin dei conti i due sarebbero la stessa cosa. Provocatoria era forse la domanda della Perer, che chiedeva un’opinione su quel personaggio tanto discusso che è Papa Bergoglio. “Premesso che le religioni monoteiste sono il luogo eminente dell’intolleranza”, esordisce Galimberti, il nuovo Papa avrebbe il merito di aver risvegliato il messaggio evangelico. Pur nell’intolleranza, il Cristianesimo vanta un grande atout rispetto agli altri monoteismi: il messaggio dell’amore. È l’amore per il prossimo, è il nolite iudicare evangelico che il papa professa, non più tramite la sola dottrina, bensì scuotendo gli animi, accendendo la pietas popolare: il papa porta i cristiani a sentire, forte del messaggio platonico che insegna che per aprire la mente, bisogna prima aprire il cuore. “Se i docenti nelle scuole facessero lo stesso”, rimpiange il professore, forse le scuole porterebbero finalmente a capo un’educazione sentimentale.

Poche domande alla fine della conferenza (“poi basta però, ché io voglio fumare!” scherza, o forse no, Galimberti), e poi la conclusione della Perer con una citazione de La Gaia Scienza, per rincuorare un pubblico forse disilluso da un ospite che di pars construens proprio non voleva sentir parlare.

Chi fosse curioso di sentire ancora quest’ospite così controverso, si segni sul calendario l’appuntamento del 4 giugno presso il Teatro Romano di Verona.

(B.J.B.)