In fuga dalla guerra e senza nessuna protezione

Intervista ad un volontario di Operazione Colomba in Libano

Alieno e partigiano: così si descrive Giacomo, giovane ragazzo trentino, all’inizio e durante la sua esperienza in un campo profughi siriano in Libano. Alieno in un pianeta in cui la dignità viene negata all’uomo, e a chi si impegna per restituirgliela, c’è chi dice che faceva meglio a farsi gli affari suoi. Partigiano come chi una posizione vuol prenderla. Giacomo ha 26 anni, una laurea in lettere e un anno di lavoro nel Servizio Civile e con la Caritas alle spalle quando decide di mettersi in viaggio. Prima per Santiago, in compagnia di un diario in cui annota i suoi pensieri. Poi, a distanza di pochi mesi, per Tel Aabbas: Operazione Colomba (corpo nonviolento di Pace dell’Associazione Papa Giovanni XXIII) lo ha selezionato per un’esperienza di volontariato in Libano. Per due mesi vive in un campo profughi siriano dove il suo compito è condividere. I tatuaggi, i vestiti colorati,  la mania di cucinare e lavare i piatti fanno di Giacomo il buffone del campo in pochi giorni. Sta allo scherzo, perché ha capito che prenderlo in giro è un modo per accoglierlo. In più, lavando i piatti,  può scampare i lavori pesanti. Lo scopo del gioco è di restituire umanità a persone che scappano dalla guerra per poi ritrovarsi in un Paese che non li vuole.

 In Libano non c’è una guerra, ma ciononostante i profughi sono lasciati a se stessi. Lo Stato, occupato militarmente dalla Siria fino al 2006, non riconosce loro lo status e quindi i diritti spettanti ai rifugiati, e la popolazione, stremata dalle varie guerre succedutesi, è diffidente. Il ruolo del volontario è quello di venire a contatto con la popolazione libanese e mediare tra questa e i siriani.

Ad esempio, attraverso la religione. I cristiani sono un gruppo religioso molto diffuso e il solo fatto che noi volontari del campo profughi andassimo a messa è servito a tranquillizzare la gente sull’assenza di terroristi nel campo.

E a parte la componente religiosa, cosa ostacola l’integrazione dei profughi con i siriani? Lo Stato libanese non vuole che la situazione dei profughi si stabilizzi. Non ha firmato la Convenzione sui diritti dei Rifugiati, e quando può interviene attraverso le milizie. 

È probabile che non molti libanesi vorranno assumersi le responsabilità che lo Stato non si assume. È vero. I profughi non hanno diritti ai servizi medici in Libano. Quando nel nostro campo un bambino è stato male, non siamo riusciti a farlo ricoverare in nessuno dei due ospedali della zona. In uno ci hanno detto chiaramente che non potevano curare i siriani, nell’altro che non c’era posto in ospedale, nonostante il parroco che era con noi ci abbia dato supporto e si sia offerto di pagare.

Chi guadagna dall’assenza di controllo statale sui campi? I privati, che affittano il suolo su cui sono piantati i campi profughi a prezzi molto alti, ma anche chi usufruisce del lavoro a basso costo dei profughi.

Se il Libano è solo una terra di passaggio, dove sognano di andare i siriani? Tutti sognano di tornare in Siria, ma non possono. Molti sognano l'Europa: Germania e Svezia sono le mete più ambite. 

E dell’Isis cosa pensano? Non sempre lo demonizzano, alcuni anzi lo vedono come un alleato contro Assad. L’Isis non è più violento di Assad, l’unica differenza è che usa il terrore. Assad, invece, si presenta come laico e democratico alla comunità internazionale.

E’ possibile parlare di non violenza ad un profugo siriano? Con Operazione Colomba abbiamo avviato un percorso sulla nonviolenza con i siriani. Abbiamo mostrato loro un video in cui dei volontari accompagnano dei bambini palestinesi a scuola. Uno di loro ha detto che era molto bello, poi però ci ha mostrato un video in cui le milizie di Assad torturavano dei cittadini. È chiaro che si tratterebbe di un percorso lungo.

(Carlotta Garofalo)